Quella realtà virtuale così anni ’90: Ci vuole un’altra vita, di Thomas Cadène e Joseph Falzon

René e Josiane sono i due pionieri che per primi testeranno una nuova tecnologia chiamata Alt-Life, una realtà virtuale a cui verranno connessi permanentemente nella quale saranno in grado di realizzare tutti i propri desideri. Monitorati da un team di scienziati, i due esplorano il mondo artificiale in cui materializzano e sfogano tutte le loro fantasie e affrontano le loro frustrazioni scoprendo nel contempo sé stessi e imparando a conoscersi e ad aiutarsi a vicenda. Tempo dopo, Alt-Life viene aperto al pubblico e la coppia si occupa dell’accoglienza dei nuovi arrivati che, in massa, scappano dal mondo reale. Mano a mano che il mondo virtuale si popola, Josiane e René approfondiscono sempre di più la loro relazione e, soprattutto, le possibilità della tecnologia a cui sono connessi, in un viaggio che esplora l’amore, la morte e la natura della mente umana. Ci vuole un’altra vita, di Thomas Cadène e Joseph Falzon (Rizzoli Lizard, pag. 192, euro 17) è un fumetto che rivela molto sul rapporto fra immaginazione e tecnologia. La rappresentazione di Alt-Life, infatti, testimonia il fatto che nell’inconscio collettivo della tarda Generazione X e degli early Millennials, Cadène è dell’1976 e Falzon del 1984, è ancora impressa con grande nitidezza l’idea di realtà virtuale che va dai primi reportage sui videogame a cui si giocava con il visore antesignano di Oculus Rift al film Il Tagliaerbe. Per chi era più o meno adolescente negli anni ’90 “realtà virtuale” era un termine di uso quotidiano per quanto, all’atto pratico, in giro non se ne vedesse granché se non in qualche sala giochi, altro residuato dell’epoca oggi quasi del tutto scomparso, a prezzi esorbitanti per una partita di pochi minuti.

 

 

E, siccome tecnologia e immaginario sono in un rapporto di scambio continuo, qualcosa della realtà virtuale anni ’90 è percolato nell’estetica di Second Life, il mondo virtuale nato nei primi anni 2000 che, per diversi anni, si è conquistato le luci della ribalta diventando oggetto di studio accademico, comparendo in diverse trasmissioni televisive e radiofonice (Melog, di Gianluca Nicoletti, ne parlò in diverse puntate) fino a ospitare eventi internazionali e veri e propri scioperi, tra cui alcuni indetti dai dipendenti IBM. Anche il Metaverso, che ci aspetta nell’immediato futuro, deve molto alla realtà virtuale. Almeno quanto Ci vuole un’altra vita. L’espediente narrativo alla base del fumetto è infatti un mondo virtuale che, in definitiva, differisce da quelli attuali per lo più in fatto di prestazioni tecnologiche. Alt-Life è quello che la realtà virtuale, Second Life e il Metaverso aspirano a essere, quantomeno nella mente dei consumatori. Un universo artificiale che sostituisce quello fisico, in cui ogni utente è un demiurgo. Anzi, in questo Alt-Life è più evoluto dei mondi virtuali attuali essendo libero dalla necessità di acquistare accessori digitali che costano valuta reale, il piattino delle offerte con cui il padrone di turno riscuote la sua decima con gli utenti connessi. Un fumetto attuale, quello di Falzon e Cadène, un’opera di anticipazione nel solco della più sana tradizione fantascientifica nel suo tracciare una rotta futuribile partendo da aspetti profondamente contemporanei del rapporto fra l’uomo e i prodotti del suo sapere, sia a livello tecnologico sia a livello filosofico. Ci vuole un’altra vita è un’opera di una pulizia rilassante con la sua claire molto francese e un uso così tenue dei colori che non stanca mai l’occhio del lettore pur senza togliere profondità o consistenza a tavole dinamiche quando serve e disegni dettagliati in piena tradizione bande dessinée. Perché questa è in generale la cifra dell’opera di Cadène e Falzon, una leggerezza quasi fredda, quasi asettica ma al tempo stesso un’attitudine distesa che invitano a riflettere con calma e distacco, senza parlare troppo alla pancia.