Slavoj Žižek si interroga su Islam e modernità

 

51JtVq01MYL._SY344_BO1,204,203,200_Slavoj Žižek manda in questi giorni  in libreria L’Islam e la modernità – Riflessioni blasfeme (Ponte alle Grazie, pag.92, euro 9). Ancora una volta il filosofo di Lubiana sorprende i lettori combinando l’affondo sull’ideologia all’excursus teologico, la prospettiva rivoluzionaria alla difesa degli ideali della Rivoluzione francese, la lettura psicoanalitica all’inchiesta giornalistica: e fa emergere un Islam sconfessato, davvero radicale, perfino libertario, rispetto a quello propugnato da chi pretende di affermare una inesistente «fede» delle origini. Qui sotto trovate un estratto del saggio dove Žižek disserta di liberl occidentali impegnati a “rovistare nei loro sensi di colpa” e fondamentalisti che “sono già come noi” e hanno già “interiorizzato i nostri valori.”

 

 

(…) I musulmani in Occidente sono di fatto una minoranza sfruttata e a malapena tollerata (così come lo sono – in misura perfino maggiore – gli africani neri, eppure non risulta che per questo si mettano a lanciare bombe e a compiere stragi), ecc. (…) Il punto non è se le recriminazioni che spingono i terroristi ad agire siano o meno fondate; ciò che qui conta è il progetto politico-ideologico che emerge come reazione alle ingiustizie. Ma tutto questo non basta – dobbiamo pensare più a fondo, e questo «pensare a fondo» non ha nulla a che vedere con una dozzinale relativizzazione del crimine (il mantra «chi siamo mai, noi occidentali, responsabili di spaventosi massacri nel Terzo mondo, per condannare questi atti?»). E ha ancor meno a che vedere con la patologica preoccupazione di molti esponenti della sinistra liberal occidentale di non figurare come islamofobi. Per questi falsi progressisti, qualsiasi critica all’Islam è sempre espressione dell’islamofobia occidentale: Salman Rushdie fu accusato di aver provocato inutilmente i musulmani e dunque (almeno in parte) di aver meritato la fatwa che lo condannava a morte, ecc. Il risultato di una posizione del genere è del tutto prevedibile: tanto più i liberal occidentali rovistano nel loro senso di colpa, quanto più questi sforzi sono additati dai fondamentalisti islamici come ipocriti tentativi di celare l’odio verso l’Islam. Questa costellazione riproduce perfettamente il paradosso del super-io: più si assecondano le richieste dell’Altro, più si è colpevoli. Nel caso in oggetto, più si dimostrano tolleranti verso l’Islam, più è forte la pressione su di loro…Ecco perché considero inadeguati gli inviti alla moderazione, per esempio l’appello lanciato da Simon Jenkins (dalle colonne del Guardian, il 7 gennaio 2015), il quale afferma che il nostro compito non è quello «di reagire sproporzionatamente, di sollevare un polverone. È invece quello di trattare eventi di questo genere come orrori episodici, passeggeri»: l’attacco a Charlie Hebdo non è stato un «orrore episodico, passeggero», ma il frutto di un preciso maxresdefaultprogramma religioso e politico, e in quanto tale fa chiaramente parte di un disegno ben più ampio. È ovvio che non si debba reagire sproporzionatamente, se con ciò si intende il soccombere a una cieca islamofobia – occorre però avere anche il coraggio di analizzare questo disegno senza infingimenti. Ben più necessaria, forte ed efficace della demonizzazione dei terroristi è la demistificazione di questo mito demoniaco.

 

Già molto tempo fa Friedrich Nietzsche si era reso conto che la civiltà occidentale procedeva nella direzione dell’Ultimo Uomo, una creatura apatica senza grandi passioni o impegni. Incapace di sognare, stanco della vita, egli non corre rischi e cerca solo agio, sicurezza e tolleranza tra gli uomini: «Un po’ di veleno di tanto in tanto: ciò fa fare sogni piacevoli. E molto veleno alla fine, per un piacevole morire. […] Si ha il proprio piacerino per il giorno e il proprio piacerino per la notte: ma si sta attenti alla salute. ‘Noi abbiamo inventato la felicità’ – dicono gli ultimi uomini e ammiccano». Può in effetti sembrare che lo iato tra il permissivismo del Primo mondo e la reazione fondamentalista coincida sempre di più con l’opposizione tra una vita lunga e appagante, fatta di benessere materiale e ricchezza culturale, e una vita consacrata a una qualche Causa trascendente. Non si tratta forse dell’antagonismo tra ciò che Nietzsche chiamava nichilismo «passivo» e nichilismo «attivo»? Noi occidentali siamo gli Ultimi Uomini nietzschiani, immersi in stupidi piaceri quotidiani, mentre i musulmani radicali sono disposti a rischiare tutto, sono devoti alla lotta fino all’autodistruzione.

 

William Butler Yeats
William Butler Yeats

Il secondo avvento, poema di William Butler Yeats, sembra riflettere a pieno l’impasse del nostro tempo: «I migliori difettano d’ogni convinzione, i peggiori / sono colmi d’appassionata intensità». Ecco un’eccellente descrizione dell’attuale contrasto tra liberali anemici e fondamentalisti ferventi. «I migliori» non sono più capaci di assumere un impegno, mentre «i peggiori» abbracciano incondizionatamente il fanatismo razzista, religioso e sessista. Ma questa descrizione dei terroristi fondamentalisti è calzante come sembra? Ciò che a loro, ovviamente, fa difetto è una caratteristica facilmente individuabile in tutti i fondamentalisti autentici, dai buddisti tibetani agli Amish statunitensi: l’assenza di risentimento e invidia, l’assoluta indifferenza riguardo allo stile di vita dei non credenti. Se i cosiddetti fondamentalisti di oggi credessero veramente di stare percorrendo la via della Verità, perché mai dovrebbero percepire i non credenti come una minaccia, perché mai dovrebbero invidiarli? Quando un buddista incontra un edonista occidentale, non lo condanna affatto. Si limita a notare benevolmente che il modo in cui l’edonista ricerca la felicità è controproducente. Contrariamente ai veri fondamentalisti, i terroristi pseudo-fondamentalisti sono profondamente turbati, intrigati e affascinati dalla vita peccaminosa dei non credenti. Si intuisce che, nel peccatore, essi combattono la loro stessa tentazione. Ma è qui che la diagnosi di Yeats non si rivela all’altezza della situazione: l’intensità passionale dei terroristi testimonia della mancanza di una vera convinzione. Quanto fragile dev’essere la fede di un musulmano se può essere minacciata da una stupida caricatura di un settimanale satirico!?

Il terrore del fondamentalista non si radica nella convinzione di una presunta superiorità e nel desiderio di proteggere la propria identità culturale e religiosa dall’assalto della civiltà consumistica globale. Il problema dei fondamentalisti è che sono loro stessi, per primi, a considerarsi inferiori a noi. Ecco perché il nostro atteggiamento paternalistico, politicamente corretto, consistente nell’assicurare che non avanziamo alcuna pretesa di superiorità nei loro confronti, non fa altro che indispettirli ulteriormente e alimentare il loro risentimento. Il problema non è la differenza culturale (lo sforzo di preservare la propria identità), ma, all’opposto, il fatto che i fondamentalisti sono già come noi, che, segretamente, hanno già interiorizzato i nostri valori, e giudicano sé stessi a partire da questi stessi valori.