Complice la sua durata ormai pluridecennale, la saga di Godzilla ha trovato nel piccolo schermo un approdo costantemente sicuro, che ha permesso a intere generazioni di scoprire le sue pellicole grazie alle programmazioni sulle emittenti locali e nazionali – per l’Italia un buon ruolo lo ha giocato anche Fuori Orario, ad esempio. Ciononostante, il mezzo televisivo non è mai parso particolarmente ricettivo rispetto alle lusinghe del filone, complice anche l’inflazione di prodotti dedicati nel settore dei tokusatsu (i telefilm supereroistici dei vari Ultraman e compagni), dove al massimo a Godzilla è toccato il ruolo della guest-star (è successo in Zone Fighter nel 1973). In settant’anni si contano dunque poche serie animate (quella di Hanna e Barbera del 1978, l’altra collegata al film di Roland Emmerich nel 1998 e ovviamente la più recente Punto di singolarità su Netflix), qualche estemporaneo esperimento con pupazzi e action figures (le serie Godzilla Island del 1997 e Godziban del 2019) e una piccola varietà di programmi didattici o comunque indirizzati ai giovanissimi, insieme a miniserie promozionali o per il web. Non deve quindi stupire se soltanto adesso si è offerta al pubblico la prima autentica serie live action dedicata al sauro atomico, Monarch: Legacy of Monsters, prodotta da Legendary Television, Safehouse Pictures e Toho e distribuita attraverso la piattaforma streaming di Apple TV+. Annunciata nel 2022 con i titoli Hourglass e Godzilla and the Titans, la serie si incentra sulla formazione dell’organizzazione governativa che studia i Titani, come visto nei più recenti film Legendary (Godzilla, Kong: Skull Island, Godzilla II: King of the Monsters e Godzilla vs Kong) di cui è a tutti gli effetti un compendio e un’espansione.
Al pari del rapporto duale che la saga ha avuto con il piccolo schermo, anche in questo caso la prospettiva si articola su una doppia direttrice, seguendo due gruppi di protagonisti attraverso diversi passaggi temporali fra il passato e il presente. Da un lato abbiamo quindi gli scienziati che hanno forgiato la Monarch, dall’altro una ragazza e un ragazzo, figli dello stesso uomo e ignari della reciproca esistenza, che arrivano a conoscersi dopo che il padre è scomparso in seguito all’attacco di Godzilla a San Francisco del 2014. A fare da collante tra le epoche e i personaggi è invece Lee Shaw, ufficiale dell’esercito interpretato da Kurt Russell (da anziano) e da suo figlio Wyatt (da giovane). Il continuo riferimento ai dualismi poggia naturalmente sulla natura dello stesso Godzilla, da sempre diviso fra il ruolo di incarnazione del terrore atomico e quello di protettore del mondo da minacce esterne. Il tutto senza dimenticare la sua nascita, scissa fra l’origine giapponese e quegli Stati Uniti che hanno fornito le ispirazioni del caso (King Kong su tutte) oltre a guidare il rilancio degli ultimi anni. La traccia portante segue in questo modo personaggi anch’essi sempre in bilico fra almeno due realtà, tempi o situazioni: la dottoressa Keiko Miura e il collega Bill Randa sono infatti costretti a districarsi fra la loro sincera indole di scienziati e gli obblighi imposti dagli enti (e dalle forze armate) che foraggiano la Monarch. Lee Shaw è ugualmente ondivago – e manterrà la sua ambiguità fino alla fine – tra la fedeltà al progetto e i suoi doveri militari e trae in questo senso grande giovamento dal carisma di Kurt Russell, abilissimo a spiazzare lo spettatore.
Sull’altro versante, invece, Cate Randa è una giovane professoressa tormentata da quanto ha perso (gli studenti morti a San Francisco, gli amori finiti male) ma ugualmente determinata a voler ritrovare il padre scomparso. Kentaro Randa, dal canto suo, ondeggia fra una possibile carriera d’artista e la possibilità di seguire l’eredità paterna, entrando anche lui in Monarch. Infine c’è May, tecnico informatico costretta a fuggire dagli States e a trovare rifugio in Giappone e per questo incerta se aiutare gli amici Cate e Kentaro o seguire la possibilità di tornare a casa e affrontare le conseguenze delle sue azioni passate. Su tutto domina la Monarch, qui approfondita come un organismo attraversato da correnti di pensiero e perciò diviso tra una linea “interventista” contro i Titani per la protezione dell’umanità e una di coesistenza, che sfrutti le sue ricerche per capire cosa vogliono i mostri. La doppia natura dei giganti, distruttori ma anche custodi di un equilibrio naturale messo spesso a repentaglio dagli stessi uomini è, non a caso, il fulcro dell’intera trattazione su cui Legendary ha costruito il suo MonsterVerse. La struttura adottata dagli showrunner Chris Black e Matt Fraction, con i produttori esecutivi e architetti delle versioni cinematografiche Mike Dougherty, Max Borenstein e Thomas Tull, funziona grazie ai continui andirivieni temporali che permettono di collegare meglio tra loro i fatti visti sul grande schermo, oltre a mantenere alta l’attenzione senza far patire troppo la classica natura performativa delle attuali serie televisive, costruite su continue (snervanti?) attese e cliffhanger.
Pur non mancando questi espedienti, in questo caso l’insieme risulta nel complesso molto naturale. Il team “del passato” funziona meglio di quello del presente grazie alla chimica evidente fra gli attori, mentre appaiono più acerbe le relazioni tra i giovani protagonisti, con la ricerca del padre che si risolve in modo un po’ troppo anticlimatico, per lasciare spazio ai (comunque affascinanti) paradossi temporali e alla nuova dimensione dell’Axis Mundi, in bilico fra il mondo “di sopra” e la terra cava di ispirazione verniana vista in Godzilla vs. Kong. In questo quadro generale, i mostri fanno la parte degli ospiti di lusso rispetto al dramma umano, ma la loro presenza è di grande impatto e ben studiata, fra grandi ritorni e qualche nuova annessione al canone, e permette a una struttura di chiaro impianto televisivo di giovarsi di un impatto decisamente cinematografico: un altro dualismo insomma, in una storia che prevediamo potrà fornire altro materiale per successive stagioni.