The Politician, stagione 2: su Netflix i meccanismi della politica

Payton Hobart (Ben Platt) è cresciuto. Se nella prima stagione l’obiettivo era circoscritto alla presidenza del consiglio studentesco della Saint Sebastian High School di Santa Barbara – e la sua vita segnata dal suicidio dell’amico River (David Corenswet) che tornava come presenza fantasmatica nei momenti di difficoltà – ora la scalata del giovane politico che punta alla presidenza degli Stati Uniti si amplia e riguarda le elezioni per il Senato e più precisamente la conquista del seggio di New York, dove si è trasferito. L’avversaria all’interno del suo stesso partito è la senatrice di lungo corso Dede Standish (Judith Light) che punta in tempi brevi alla vicepresidenza degli Stati Uniti, coadiuvata dalla sua agguerrita addetta stampa Hadassah Gold (Bette Midler), mentre a sostenere Payton c’è sempre il team degli amici del liceo: la fidanzata Alice (Julia Schlaepfer), la ex rivale Astrid (Lucy Boynton), la determinata McAfee (Laura Dreyfuss), lo scaltro James (Theo Germaine), l’ex nemica Skye (Rahnr Jones). Torna, in un ruolo più defilato Infinity Jackson (Zoey Deutch), candidata come sua vice ai tempi della scuola che, messa da parte l’ingombrante nonna (Jessica Lange) sul finire della prima stagione, è stata folgorata sulla via dell’ambientalismo trasformandosi in una sorta di Greta Thunberg. Ritorna anche il viscido Andrew (Ryan J. Haddad), sempre follemente innamorato di Infinity, che si propone come talpa nel quartiere generale della Standish, in cambio di un appuntamento con la sua amata. Payton deve vedersela innanzitutto con Georgina, la sua ineffabile e affascinante madre adottiva (Gwyneth Paltrow) che, alla fine della prima stagione, aveva lasciato Payton, il marito (Bob Balaban) e i due improbabili gemelli per coronare il sogno d’amore con Brigitte (Martina Navaratilova). Finita la storia, la madre gli ruba la scena: si è candidata a governatore della California e il suo successo è inarrestabile, nonostante – o forse proprio grazie a – proposte campate in aria.

 

 

Tra triangoli amorosi dati in pasto alla stampa, doppie maternità, dolorose separazioni, calcolate riconciliazioni, duelli in stile western, si arriva al fatidico giorno delle elezioni.
Sette episodi, girati e montati poco prima del Covid-19, che conquistano per la satira pungente: l’opportunismo usato a regola d’arte (l’ambientalismo come cavallo di battaglia per combattere l’astensionismo, grande piaga nelle elezioni a stelle e strisce, e convincere i giovani a recarsi alle urne), le sparate che vengono prese sul serio e creano proseliti (l’indipendenza della California), gli escamotage tanto assurdi quanto efficaci (l’utilizzo della morra cinese e lo studio delle possibili combinazioni per cercare di vincere), la politically correctness elevata a sistema (le foto in costume da indiano che risultano «deeply offensive» in campagna elettorale e per cui ci si deve pubblicamente scusare), le tragedie familiari che possono tornare utili (la moglie in coma del candidato democratico alla Casa Bianca), il «pentagramma sessuale» che può diventare arma a doppio taglio, lo scontro tra generazioni (giovani vs “boomers”, l’insulto più in voga del momento per i genitori non al passo con i tempi). Tanti gli spunti per leggere la politica e di conseguenza il mondo in cui viviamo.

 

 

La prima stagione di The Politician, andata in onda nel 2019, è stata il primo dei progetti che Ryan Murphy realizzerà in cinque anni per Netflix. Creata e prodotta con Brad Falchuk e Ian Brennan vanta dialoghi di qualità («Sono un politico, non ho personalità», dice Payton alla madre che gli consiglia di essere se stesso per trovare consensi perché «è l’autenticità che conta»), ottimi attori e una ricostruzione dell’ambiente in cui si muovono i millenials in stile Wes Anderson estremamente efficace. I politici visti finora sono solo democratici, volutamente i repubblicani non trovano posto se non per lo slogan ribaltato (il “Make America Great Again” utilizzato da Trump nella campagna elettorale presidenziale 2016 qui diventa ” Make Heart Great Again”) che acquista significato diametralmente opposto. Molto probabilmente saranno presenti nella terza e ultima stagione che, però, non è prevista in tempi rapidi. Come ha dichiarato Ryan Murphy in un’intervista: «Mi piacerebbe che Ben Platt fosse un po’ più grande per la corsa finale. Sarà ovviamente una corsa presidenziale, giusto? È quello che abbiamo previsto, e penso sia il nostro progetto. Aspetterò. Ben è giovane, quindi voglio prendermi un paio d’anni per capire come invecchiarlo un pochino». Non ci resta che attendere.