Un atto demiurgico: Annihilator – La riflessione iperdensa di Grant Morrison sulla natura della narrazione

Ray Spass è uno sceneggiatore famosissimo alle prese con la più nera delle crisi creative. Dopo il suo più grande successo, Coriolis, non riesce più a creare nulla che sia all’altezza. Come se non bastasse, durante una visita medica scopre di avere un tumore al cervello. O, quantomeno, qualcosa che viene rilevato come tale. Nel frattempo Max Nomax, supercriminale esiliato ai confini della galassia impegnato nella ricerca di una cura della morte per salvare la sua compagna, fugge dal tirannico dio computer Vada, e finisce per approdare proprio sul nostro mondo in cerca proprio di Ray Spass. Lo sceneggiatore altri non è che il suo creatore: Nomax è il infatti protagonista della sua ultima, incompiuta sceneggiatura. Dopo lo scempio compiuto da Italy Comics alcuni anni or sono, che pubblicò la serie in albetti spillati senza nemmeno completarla, Saldapress ripubblica, stavolta in un volume integrale, Annihilator – Patto con il diavolo (pag.224, euro 24,90), una delle serie a fumetti meno conosciute, ma più interessanti di Grant Morrison (Invisibles, All Star Superman, Doom Patrol, New X Men). Lo scozzese non si è mai fatto grossi problemi a scrivere storie complesse e concettualmente molto dense, fumetti certamente pop ma con molteplici livelli di lettura che spingono fortissimo sulla metanarrativa. Morrison scrive di storie. Riflette sul loro funzionamento e, soprattutto, sulla loro natura magica, ovvero su come esse abbiano un impatto reale e concreto sulla realtà (nel suo saggio sull’argomento, Supergods, racconta diversi episodi autobiografici che danno un’impressione di quanto quest’idea sia per lui una concreta realtà di fatto).

 

 

Con Annihilator l’autore va davvero oltre, forse proprio perché libero da quei pochi vincoli a cui comunque è sottoposto quando scrive per le major, raccontando una storia stratificata, dove l’atto magico della narrazione diventa un doppio atto demiurgico in cui, volutamente, non è mai pienamente definito chi è il creatore e quale dei mondi è stato creato e Max Nomax si muove da uno stato di realtà all’altro con la scioltezza di un dio gnostico fatto di coca. Annihilator è una vera matrioska, una storia dentro l’altra che formano un tessuto di narrazioni interconnesse che si influenzano a vicenda, con Max Nomax che tira le fila del gioco in una corsa contro il tempo in cui si trova per forza di cose a dipendere da Ray Spass nonostante il rapporto estremamente difficile fra i due. Graficamente, Frazer Irving si sobbarca un lavoro difficile e lo gestisce eroicamente traducendo in immagini una storia complessa e stipata di concetti brillanti e complessi fino a risultare quasi ingestibile. Il suo tratto ricorda il miglior Bill Sienkiewicz incrociato con la visionarietà di Philippe Druillet, con un uso dei colori acido ed elettrico che crea un’atmosfera tirata e nervosa, con un effetto strobo che visivamente sovraccarica il fumetto dandogli al contempo un’atmosfera lisergica da bad trip che trasmette un costante senso di inquietudine viscerale. Annihilator è un’opera profondamente morrisoniana, divisiva come tutte le sue opere. I fan hardcore dell’autore possono solo amarla, i lettori più o meno occasionali potrebbero sì apprezzarla, così come lanciare il volume contro il muro, perché l’astrattezza e la densità concettuale di Morrison, c’è da dirlo, non sono un gusto per tutti i palati.