L’ipotesi di partenza è immaginare Eraserhead diretto non più da David Lynch, con il ben noto estro pittorico e visionario in grado di elevarlo dalla sua potenziale condizione underground. Al suo posto andrebbe invece collocato un filmmaker newyorkese alla Frank Henenlotter o William Lustig, ben lieto di affondare le mani nella materia più sordida che l’idea naturalmente reca con sé. Probabilmente Combat Shock è quanto di più vicino vedremo mai a questo curioso what if cinefilo. L’autore in questione è infatti Buddy Giovinazzo, che dirige, scrive, produce e monta con risorse evidentemente inesistenti, girando nelle location di una degradata Staten Island senza lo straccio di un permesso. Qui si muove Frankie, il suo protagonista, reduce che non ha mai superato i traumi della prigionia in un campo vietcong e che non riesce a sbarcare il lunario e a sostenere la moglie con il figlioletto neonato deforme. Creatura, per inciso, che rende il parallelo con Eraserhead quanto mai congruo e che probabilmente avrà consumato la quasi totalità dell’inesistente budget. Il titolo di lavorazione American Nightmares chiarisce dopo tutto l’intento sociologico e la destinazione di un prodotto indipendente a oltranza, forse anche troppo forzatamente ricondotto nel ventaglio del cinema di genere più sensazionalistico e che invece è più interessato a descrivere un malessere sociale. Ovvero quello di un’America del 1986 lontanissima dagli umori più solari del decennio reaganiano, osservata con lo stesso disincanto che muove Frankie tra baby prostitute, lunghe e inutili file all’ufficio di collocamento, pusher e tossici allo stadio terminale, residui di un’umanità marginale, ritratta con il candore dell’inevitabilità. Il parallelo tra la guerra nei campi vietnamiti e quella fra le macerie di una nazione che sta tagliando spietatamente lo stato sociale, riducendo una generazione alla sconfitta, diventa via via più palese e conduce pertanto a una risoluzione nichilista.
Rimasto per decenni escluso dalla distribuzione italiana, Combat Shock risulta pertanto un elemento centrale per descrivere un’altra storia del cinema americano, affine ai titoli dei cineasti elencati in apertura o a quanto contestualmente realizzava uno Jorg Buttgereit in Germania – il cineasta tedesco, non a caso, fa capolino nel commento audio delle edizioni home video americane. Non stupisce quindi che questa scheggia di cinema punk sia finita nelle mire della Troma, pur essendo parecchio diverso nel tono dalle pellicole più celebri di Lloyd Kaufman e soci: la casa di Toxic Avenger, dopotutto, risulta parimenti sensibile a storie in grado di ribaltare il comune senso della realtà e della sua rappresentazione. Lo fa pur non risparmiando un titolo e una locandina decisamente più “pulp” delle intenzioni, che esalta il lato “bellico” della storia – d’altra parte di lì a poco lo stesso Kaufman si sarebbe imbarcato nell’impresa di Troma’s War, segno di quanto l’argomento lo solleticasse. L’edizione Blu-ray conferma la collana Tromaland di DigitMovies come una delle realtà più interessanti dell’attuale proposta home video italiana, con una selezione di alto livello che sta riportando alla luce le perle più nascoste del catalogo messo insieme da Kaufman nel corso del tempo. Se il film è proposto nella versione Director’s Cut di 97 minuti sottotitolata, pure la sezione extra contribuisce a definire meglio il microcosmo autoriale di Buddy Giovinazzo: accanto ai making of del caso, infatti, trovano spazio 5 cortometraggi degli esordi (Christmas Album, Jonathan of the Night, Mr. Robbie, Subconscious Realities, The Lobotomy) che confermano la predilezione del regista per storie di ordinaria follia in grado di ribaltare le iconografie tradizionali. In particolare si distingue Mr. Robbie, ovvero il promo di un ideale sequel di Maniac (poi non realizzato per la scomparsa di Joe Spinell) che conferma il legame con William Lustig già evidenziato in apertura. La carriera di Giovinazzo proseguirà poi negli anni tra cinema e romanzi, in cui affinerà il racconto di una New York vista nuovamente “dal basso”, attingendo da esperienze anche personali e sempre senza compromessi.