Portiamoci avanti col lavoro: è possibile che l’Italia in questi Giochi conquisti più medaglie d’oro rispetto a Tokyo, quando furono dieci, ma è improbabile che raggiunga il totale di 40. Così fosse, immagino che si verseranno fiumi d’inchiostro e si danneggeranno centinaia di ugole per stabilire se la spedizione azzurra abbia ottenuto un risultato migliore o peggiore in confronto al 2021. Mi limito a a ricordare che la classifica del medagliere viene da sempre stilata sulla scorta degli ori ottenuti, mentre per quanto riguarda l’eterno (?) conflitto tra qualità e quantità sono propenso a fare dei distinguo, prendendo come esempio l’atletica, riconosciuta regina dei Giochi. Complice anche la recente disavventura di Tamberi, che comunque si è qualificato per la finale di sabato, il covid di Palmisano e la caviglia ballerina di Stano (in condizioni normali, i due marciatori mercoledì mattina avrebbero sbaragliato la concorrenza, anziché concludere al sesto posto nell’inedita maratona a staffetta) i cinque ori di Tokyo non verranno nemmeno avvicinati. Eppure il movimento nel suo insieme è ulteriormente cresciuto, come dimostra il buon numero di atleti che hanno raggiunto le finali, oppure migliorato i loro primati personali. Pensiamo al terzo posto del diciannovenne Furlani nel lungo, al quarto con record italiano della ventiquattrenne Battocletti (per un paio d’ore salita anche sul podio per la squalifica della keniana Kypiegon, poi rientrata), al quinto di Jacobs nei 100, primo europeo in una specialità nella quale l’Italia fino a Tokyo non aveva mai guadagnato una finale…(In apertura una immagine del Musée des Arts et Métiers. Le immagini sono di Franco Bassini).
Questo nonostante la serata di mercoledì allo Stade De France – raggiunto questa volta con la Rer e in buon anticipo rispetto all’inizio delle gare – sia stata avara di soddisfazioni e anzi ricca di delusioni. Cominciamo con le buone notizie, a partire dal sesto posto nel salto con l’asta di Elisa Molinarolo, la veronese che fino ai diciassette anni aveva praticato con buoni risultati la ginnastica artistica, fregiandosi anche dell’oro al volteggio ai tricolori juniores del 2011, che è salita fino a 4.70, superato al primo tentativo come le precedenti misure, stabilendo così il nuovo personale, a tre centimetri dal record italiano, la cui detentrice, Roberta Bruni, a sua volta in gara, si è fermata a 4.40. In finale rivedremo il triplista Andy Diaz, cubano dell’Avana, che nel febbraio dello scorso anno ha ricevuto la cittadinanza italiana, festeggiata a giugno con il personale di 17.75. Allenato da Fabrizio Donato (bronzo a Londra nella specialità), il nativo dell’Avana non ha propriamente incantato, qualificandosi con la dodicesima misura, un 16,79 ben lontano dai migliori, vale a dire gli altri due triplisti cubani che hanno lasciato l’Isola: il portoghese Pedro Pichardo (17,44) e il fresco spagnolo Diaz Fortun (17.24). Tra le note liete va ovviamente inserita la qualificazione di Tamberi alla finale. Il popolare Jimbo, fresco di ricovero per una colica renale e arrivato (tornato) a Parigi soltanto lunedì, si è fermato a 2.24, così come Stefano Sottile, misura rivelatasi però sufficiente per scendere in pedana sabato sera. “Sapevo che sarebbe stata la gara più dura della mia vita – ha commentato l’olimpionico – perché tre giorni fa ero in ospedale con 38 di febbre. Non avevo energie da sprecare, a 2,27 la gamba non teneva. Sarà tutto diverso in finale: voglio farvi impazzire come tre anni fa a Tokyo”.
E veniamo alle delusioni. In ordine di apparizione, ma non solo. La più cocente è infatti l’eliminazione in semifinale di Lorenzo Simonelli, fresco campionare europeo dei 110 ostacoli, che dopo una partenza autorevole e una gara di testa è inciampato con la gamba di ritorno nel penultimo ostacolo, perdendo il ritmo e chiudendo quinto in 13’’38. “Ho buttato via tutta la stagione – sono state le sue parole – e dire che volevo la finale per lottare con Holloway (12’’98 in semifinale, ndr) per la medaglia d’oro. Mi spiace per tutti i tifosi che credevano in me”. Quorum ego. Un altro mio beniamino fin dalla finale di Tokyo, Alessandro Sibilio, vicecampione europeo dei 400 ostacoli due mesi fa con tanto di primato italiano (47’’50) è uscito di scena, chiudendo al sesto posto con un per lui modesto 48’’79. E dire che sarebbe bastato correre in 48’’15 per entrare negli otto. “Ho commesso un sacco di errori, forse perché ero in ansia, consapevole di non avere la condizione di Roma. C’erano tutte le condizioni per andare in finale, a ben vedere il compito era più facile che a Tokyo e invece adesso dovrò aspettare quattro anni per avere un’altra opportunità”. Idem per i due azzurri impegnati nei 200 metri. Fausto Desalu, giunto quarto in 20’’37 ha chiuso con il nono tempo, primo dunque degli esclusi; stesso piazzamento per Tortu che ha corso in 20’’54. Anche in questo caso, il 20’’30 che avrebbe consentito di tornare in pista per la gara che assegna le medaglie era ampiamente alla portata… Una curiosità a proposito della composizione della finale: accanto ai tre statunitensi di prammatica, ci saranno ben quattro africani e un dominicano. In breve gli altri risultati. Una fantastica finale dei 400 ha registrato il successo in rimonta dello statunitense Hall con un ottimo 43’’40, a precedere di tre centesimi il britannico Hudson-Smith, mentre Samukonga dello Zambia si è assicurato il bronzo in 43’’74. L’australiana Kennedy ha vinto il salto con l’asta con la misura di 4.90, davanti alla statunitense Moon e alla canadese Newman (4.85 per entrambe). Il giamaicano Stona lanciando il disco a 70 metri ha vinto l’oro davanti al lituano Alekna (69.97) e all’australiano Denny (69’31): si tratta della seconda medaglia nei lanci per i connazionali di Bolt, assenti invece dalla finale dei 200, curioso anche questo. Infine i 3.000 siepi, che hanno regalato un finale avvincente, sono stati appannaggio del marocchino El Bakkali (8’06’’05) che ha rimontato negli ultimi appoggi lo statunitense Rooks (8’06’’41) a fatica difesosi dal ritorno del keniano Kibwot (8’06’’47).
Dovremo intanto attendere oggi per incassare quel decimo oro che dista soltanto un settimo posto nell’ultima regata dei campioni uscenti Ruggero Tita e Caterina Banti: il vento ha fatto le bizze a Marsiglia, e la gara conclusiva della classe Nacra 17 è stata rinviata. In caso di ulteriore impossibilità a regatare e quindi di annullamento dell’ultima prova, la coppia azzurra, largamente al comando, conquisterebbe automaticamente la medaglia più preziosa. Intanto è arrivato il bronzo del quartetto su pista, risultato francamente inferiore alle attese della vigilia, alla luce del successo di Tokyo e di quelli successivi nelle rassegne iridate di Filippo Ganna, Simone Consonni, Francesco Lamon e Jonathan Milan, che il giorno prima si erano dovuti arrendere all’Australia per poi piegare nettamente i tradizionali avversari danesi nella sfida per il bronzo. Medaglia per la quale avrebbe dovuto combattere un altro azzurro campione olimpionico di tre anni fa, Vito Dell’Aquila nel taekwondo categoria al limite dei 58 kg, che però ha rinunciato per il riacutizzarsi dell’infortunio all’adduttore sinistro, che già ne aveva determinato la sconfitta in semifinale. In una giornata così così (mi viene in mente Signor giudice di Roberto Vecchioni, 1979) va registrata l’eliminazione della squadra maschile di volley, battuta 3-0 (25-20 25-21 25-21) dalla Francia. La rivedremo in campo per il bronzo opposta agli Stati Uniti, che sono stati superati al tie break dalla Polonia.
In una giornata iniziata con la pioggia e proseguita con un mezzo sole, ho seguito dal vivo soltanto l’atletica, avendo deciso che era tempo di onorare l’impegno preso con un amico studioso di Napoleone e in particolare delle sue campagne in Italia, di andare in rue Turbigo, che a suo dire ricorda la battaglia contro gli austriaci del 31 maggio 1800 sulle rive del Ticino, mentre Wikipedia francese (e italiano: Wikipedia è maschile?) lega l’intitolazione allo scontro del 2 giugno 1859 tra i Franco-piemontesi e gli austriaci. Ha perfettamente ragione lui, perché la via (bella, ampia, per un buon tratto alberata) dalle parti di place de la République, ha preso il nome attuale con un decreto del 29 settembre 1854, come da documento consultabile su gallica.bnf.fr..
Rue Turbigo, ho scoperto cammin facendo, conduce tra l’altro al Musée des Arts et Métiers, che ho deciso seduta stante di visitare. Ottima idea, perché è davvero ricco di oggetti, meglio sarebbe scrivere invenzioni interessantissime. È diviso in settori: strumenti scientifici, materiali, energia, meccanica, edilizia, comunicazione e trasporti. Queste ultime due collezioni mi hanno attirato in modo particolare (mi sono trattenuto un’ora e mezza, ma ne servirebbero almeno il triplo): dico solo che sono esposte macchine tipografiche dell’Ottocento, un IBM del 1960 grande come un monolocale, macchine per scrivere di tutte le epoche e poi automobili di ogni tipo, comprese un modello Balena del 1936 di sette metri e la Renault Turbo di Prost, aerei o tentativi di aerei sempre del XIX secolo, modellini di locomotive a bizzeffe, biciclette e loro antenate… Senza trascurare un Pendolo di Foucault (il museo ingloba una chiesa sconsacrata e la cupola garantisce una congrua altezza), il macchinario (non saprei come chiamarlo altrimenti) dei Fratelli Lumière e il modello originale della Statua della Libertà. Mi ripeto: una meraviglia. Non di solo sport vive l’uomo.