Il Consonni che non ti aspetti, Chiara anziché Simone, consente all’Italia di cogliere l’undicesima medaglia d’oro, migliorando così il bottino di Tokyo. La bergamasca di Ponte San Pietro, in coppia con la toscana Vittoria Guazzini ha infatti vinto la Madison femminile, competizione inserita nel programma olimpico a Tokyo, collezionando 38 punti contro i 31 della Gran Bretagna e i 28 dei Paesi Bassi. Decisivo è stato il giro conquistato intorno a metà gara, che ha fruttato 20 pesantissimi punti. Quasi incredule le due azzurre, che certo non godevano dei favori del pronostico. “Nella prima parte ci siamo un po’ perse – ha raccontato la… sorella d’arte (Simone è stato oro a Tokyo e bronzo qui a Parigi nell’inseguimento a squadre) – ma poi siamo tornate e Vittoria ha messo anche quello che non avevo io. Sapevamo di essere una coppia un po’ improvvisata, ma con il sostegno di tutti ce l’abbiamo fatta”. “A un certo punto ci siamo dette: o la va o la spacca e siamo andate all’attacco – le ha fatto eco Guazzini -. Siamo cresciute insieme e abbiamo trionfato insieme: è bellissimo”. Il ciclismo femminile non saliva sul gradino più alto del podio da Sydney, quando Antonella Belluti vinse la corsa a punti, quattro anni dopo il trionfo nell’inseguimento. La terz’ultima giornata ha regalato anche due straordinarie medaglie all’atletica azzurra: l’argento di Nadia Battocletti nei 10.000 e il bronzo di Andy Diaz nel triplo. (In apertura: un raggio di sole entra nello stadio mentre si corrono i 10mila donne. Le immagini sono di Franco Bassini).
La fondista di Cles, già quarta nei 5.000, anche stavolta ha polverizzato il record italiano che aveva stabilito in occasione del trionfo continentale dello scorso giugno, chiudendo in 30’43’’35, otto secondi in meno del precedente primato, arrivando a un decimo soltanto dalla keniana Chebet, con la quale ha duellato strenuamente dall’uscita della curva fin sul traguardo. Terza l’olandese Hassan, lo stesso piazzamento ottenuto sui 5.000, quando aveva lasciato l’azzurra ai piedi del podio. Il ventottenne triplista nato all’Avana, italiano del febbraio 2023, ma autorizzato a vestire la maglia azzurra soltanto dal primo agosto scorso, ha esordito con un brillante 17.63 che ha immediatamente fugato le perplessità sorte nella gara di qualificazione, quando aveva conquistato la finale con la dodicesima e ultima misura, fermandosi a 16.79. L’atleta allenato da Fabrizio Donato (a sua volta bronzo a Londra nel 2012, 44 anni dopo il precedente di Gentile a Città del Messico) si è classificato alle spalle degli altri due cubani protagonisti della diaspora dei triplisti: il ventitreenne spagnolo Diaz Fortun (17.86) e il più titolato portoghese Pichardo (17.84). Nell’ultimo salto, il neoazzurro si è migliorato di un centimetro.
La terz’ultima giornata olimpica ha regalato altri tre bronzi, oltre alla ormai consueta manciata di quarti posti, il più amaro dei quali è probabilmente quello della 4×100 campione uscente, che è stata bruciata nell’ultima frazione da Canada (37’’50), Sudafrica (37’’57) e Gran Bretagna (37’’61), dopo che Patta aveva consegnato il testimone a Tortu in seconda posizione, appena dietro il Giappone. Purtroppo il protagonista della volata vincente di Tokyo è incappato in una frazione modesta, facendosi rimontare dalle tre nazionali che sono salite sul podio, correndo più veloce del solo nipponico. I numeri sono impietosi: l’ultimo staffettista dell’Italia ha corso in 9’20, contro l’8’’89 del canadese De Grasse e l’8’’78 del britannico Hughes e del sudafricano Simbine. Sarebbe bastato un comunque modesto 9’’ netti per bissare l’oro di tre anni fa, migliorando anche iil 37’’50 di Tokyo. Questo perché Melluzzo, Jacobs e Patta hanno fatto una gara esemplare, segnalandosi rispettivamente come il terzo, il secondo e il migliore delle loro frazioni. E gli Stati Uniti? Un disastro come avviene con una certa regolarità nella staffetta veloce. Stavolta Coleman ha letteralmente tamponato Bednarek, finendo fuori settore con relativa squalifica. Il primo bronzo in ordine di apparizione è arrivato nel sollevamento pesi, grazie a (Anto)Nino Pizzolato, che ha bissato la medaglia di Tokyo, essendo passato nel frattempo dalla categoria al limite degli 81 kg a quella attuale degli 89. Il trapanese di Castelvetrano è salito sul podio grazie alla prova televisiva, dopo che in diretta gli era stato mostrato il disco rosso, ritenendo erroneamente che nello slancio avesse mosso il gomito.
Il secondo è maturato all’Arena La Chapelle, nell’All Around individuale di ginnastica ritmica, davanti a un pubblico prevalentemente femminile, in un tripudio di bandiere italiane e in un clima da Amici (Italia 1 e poi Canale 5, 2001-), vale a dire urletti ogni volta che l’attrezzo veniva lanciato per aria, urla belluine a ogni movimento riuscito, nonché alla presentazione delle ginnaste e alla comparsa delle votazioni. La non ancora diciottenne russa naturalizzata tedesca Darja Varfoloneev, campionessa del mondo in carica, si è aggiudicata l’oro con 142.850 punti, guidando la classifica dal primo all’ultimo attrezzo. Alle sue spalle la bulgara Kaleyn (140.600), mentre Sofia Raffaeli, che il giorno prima aveva concluso la gara di qualificazione con il punteggio più alto (139.100) si è fermata a 136.300, che comunque le è valso la medaglia di bronzo, dopo essere stata estromessa dalla competizione per l’oro già nella seconda rotazione in seguito a un errore alla palla (Mamma ho perso la palla, vi ricorderebbe qualcosa?). In precedenza l’Italia aveva concluso al secondo posto la gara di qualificazione a squadre e sabato alle 14 tornerà in pedana con concrete possibilità di podio. Le azzurre sono state le migliori nella prima rotazione, i cinque cerchi (specialità olimpica per eccellenza, direi) venendo poi superate dalla Bulgaria al termine di un esercizio non impeccabile ai tre nastri e due palle (che detto così suona male).
Il terzo bronzo è stato conquistato nel taekwondo, specialità nella quale l’Italia è diventata un’abituale frequentatrice del podio. Dopo l’argento di Sarmiento a Pechino, l’oro di Molfetta a Londra e l’oro di Vito Dell’Aquila a Tokyo, stavolta è stato Simone Alessio a salire sul podio. Il livornese campione del mondo del 2019, titolo conquistato a soli 19 anni, che era stato sorprendentemente battuto nei quarti dall’iraniano Barkhodari, ha vinto il gironcino di ripescaggio nel quale in finale si è preso la rivincita sullo statunitense Nickolas, campione del mondo lo scorso anno proprio ai suoi danni. Come accennato, un discorso a parte meriterebbe la messe di quarti posti, che sta caratterizzando la spedizione azzurra. Qui ci limitiamo ad elencare quelli di giornata, che si aggiungono a quello della 4×100 di cui abbiamo a lungo disquisito: Domenico Acerenza nella 10 chilometri di nuoto, nella quale l’atteso Paltrinieri non è andato oltre la nona piazza in quella che potrebbe essere stata la sua ultima gara; Riccardo Pianosi nella medal race del kite che ha visto impegnati quattro atleti; la tuffatrice Chiara Pellacani, già quarta nel sincro in coppia con Elena Bertocchi, nel trampolino da tre metri; la squadra di pallavolo maschile sconfitta 3-0 dagli Stati Uniti nella sfida per il bronzo. Risultato, va detto, che non riflette l’equilibrio che caratterizzato l’incontro, testimoniato invece dai parziali di 25-23, 30-28, 26-24.
Chiusura intimista. Ero appena salito sul tram che mi avrebbe portato all’Arena La Chapelle, quando una giovane donna mi ha ceduto il posto. Le è bastata un’occhiata per collocarmi nella categoria alla quale appartengo di diritto. Ho comunque sperato che l’avesse fatto perché doveva scendere alla fermata successiva, ma così non è stato. Anzi, quando sono arrivato a destinazione, lei era ancora lì, aggrappata al sostegno giallo. Mi sembra ieri che ero io ad alzarmi ed ecco che accade il contrario. É la famosa ruota e sono fortunato ad avere completato il giro. Faccio un passo indietro e resto due volte in tema: sport e destino. La fermata in oggetto è intitolata a Colette Besson, la quattrocentista francese che a 22 anni vinse sorprendentemente l’oro nei 400 a Città del Messico, senza più ripetersi a quei livelli, ritirandosi a soli 31 anni dopo aver provato senza fortuna il doppio giro di pista. Di lei mi resta l’immagine della lunga coda di cavallo che si scuote nel rettilineo d’arrivo che stagione dopo stagione sembrava diventare sempre più lungo. Un tumore ai polmoni se l’è portata via quando aveva 59 anni. Pace e bene a tutti, come diceva Padre Mariano (1906-1972).