E venne il momento di intingere la penna nella rettorica, di attingere a piene mani dall’epos, di non temere l’immaginifico. La medaglia d’oro conquistata alla trave dalla brixiana Alice D’Amato, la prima nella storia della ginnastica femminile, al termine di una gara in cui si è misurata e ha battuto le migliori specialiste, merita esattamente questo. Non però di oscurare il bronzo di Manila Esposito, la più giovane della spedizione azzurra, che ha trionfalmente concluso un’Olimpiade senza precedenti, ricca di un oro, un argento e un bronzo. Il doppio podio nell’attrezzo più insidioso – che, come vedremo, ha fatto vittime illustri – segue infatti il secondo posto nella competizione a squadre e cancella quella sensazione di incompiuta, di raccolto meno abbondante di quanto avrebbe potuto essere, che cominciava a serpeggiare dopo il concorso generale e la finale alla parallela, nelle quali soltanto una questione di millesimi aveva impedito ad Alice di salire sul podio anche in una gara individuale. Lunedì alle 13.24, quando il tabellone luminoso ha sancito che neppure la formidabile Andrade aveva fatto meglio della D’Amato e nemmeno di Manila Esposito, l’Italia della ginnastica femminile è tornata sul tetto del mondo, quello già conquistato ad Aarhus nel 2006 dalla meravigliosa Vanessa Ferrari, alla quale solo un infortunio impedì due anni dopo di ribadire ai Giochi di Pechino la propria superiorità. (In apertura la conferenza stampa di D’Amato, Esposito, Biles e Chiles. Le immagini sono di Franco Bassini).
Ed è anche merito della Farfalla se ora stiamo celebrando l’exploit di un un intero movimento: quante bambine si sono entusiasmate per le sue gesta, quante famiglie hanno avviato le loro figlie alla ginnastica, proprio sulle ali dell’entusiasmo per i successi di Vanessa? Senza dimenticare che la Ferrari, fino all’ultimo schiaffo del destino incassato a giugno, faceva parte di questa giovane squadra, allenandosi fianco a fianco con Manila Esposito, nata due settimane dopo che lei aveva conquistato il titolo iridato nell’All Around. Certo, se la medaglia aleggiava nell’aria, l’oro va al di là di ogni più rosea previsione, così come la presenza di due azzurre sul podio: in una gara nella quale la metà delle ginnaste è caduta, ad Alice e Manila spetta il grande merito di aver saputo sfruttare l’opportunità, anche se si può addirittura nutrire un minimo di rammarico per un’oscillazione che ha impedito alla napoletana di Boscotrecase di perfezionare la doppietta. La finale che ha riscritto la storia della ginnastica artistica femminile è iniziata con l’esercizio della cinese Zhou, vice campionessa del mondo in carica, che presentava il punteggio di partenza più elevate dell’intero lotto, così da ottenere un brillante 14.100 nonostante un vistoso sbandamento e alcune imperfezioni. Dopo di lei saliva sull’attrezzo la statunitense Sunisa Lee, oro a squadre e bronzo all’All Around di un soffio avanti ad Alice, che incappava però in una caduta che la estrometteva subito dai giochi per le medaglie, esattamente come accadeva subito dopo alla brasiliana Soares. Manila Esposito invece si merita un 14 tondo, che risente di un’indecisione simile a quella della cinese. Dopo di lei la romena Maneca-Voinea, fresca dell’argento europeo di Rimini, cadeva due volte (allertando così Simone di Cirene), mentre Alice D’Amato si esibiva in un esercizio di rara pulizia, che le valeva 14.366 e il primo posto, il che significava medaglia sicura, visto che mancavano soltanto Biles e Andrade.
La Reginetta dei Giochi finiva però sul tappeto (e al tappeto) e non poteva andare oltre i 13.100. A quel punto solo Andrade avrebbe potuto togliere l’oro ad Alice e/o far scendere dal podio Manila, ma la brasiliana si fermava a 13.933 e il clan azzurro poteva cominciare a festeggiare. Per pochi minuti soltanto in realtà, perché le due medagliate un’ora dopo erano attese dalla finale al corpo libero che non le vedeva protagoniste, nonostante Alice si sia meritata un 13.600 che rappresenta il suo secondo miglior punteggio nei quattro esercizi a terra di questi Giochi. L’oro andava brasiliana Andrade, davanti alle statunitensi Biles e Chiles. E allora sì, che poteva iniziare la festa, ammesso che per le ginnaste e il loro direttore tecnico (sì, per Enrico Casella sì) il concetto abbracci anche l’ora trascorsa a rispondere alle stesse domande formulate da un manipolo sempre più folto di giornalisti, che raggiungevano in ordine sparso l’Arena di Bercy, una volta sparsasi la notizia dell’ottavo, inatteso oro.
E proprio in questi concitati momenti, tra conferenza stampa nella sala istituzionale, approcci più informali in zona mista e qualche fugace tête-a-tête, è arrivata la notizia della vittoria di Diana Bacosi e Gabriele Rossetti nella finale dello skeet a squadre misto. I due azzurri, entrambi vincitori dell’oro alle Olimpiadi di Rio, hanno superato 45-44 gli Stati Uniti, dopo che nelle qualificazioni avevano eguagliato il record del mondo con 149/150. E sempre a Bercy sono stato informato dell’impresa del volley maschile, capace di riemergere da uno 0-2, 22-24 nel terzo set, per guadagnarsi la semifinale contro la Francia imponendosi sul Giappone (facile e anche un po’ scontato immaginare i propositi di harakiri nello spogliatoio a fine gara) con il punteggio di 20-25, 23-25, 27-25, 26-24, 17-15.
Il pur gremito Stade De France che mi ha accolto poco prima delle 18 sembrava il Rigamonti con il Brescia a metà classifica in serie B in confronto al vagone della metropolitana dove non so come ero riuscito a infilarmi e dal quale non vedevo l’ora di scendere, maledicendomi per aver indugiato a Bercy a fare il fenomeno raccontando aneddoti relativi all’antica amicizia con Casella e Bergamelli e finendo così con l’intrupparmi con le migliaia di appassionati di atletica diretti a Saint Denis. Speranzoso che quanti mi avevano alitato addosso godessero di buona salute, ho cominciato a scrivere queste note prima dell’inizio del programma di atletica, così da potermelo godere senza pigiare sui tasti e alzare la testa a ogni boato del pubblico. E in effetti anche la scelta di seguire la serata dello Stade de France si è rivelata azzeccata.
La ventiquattrenne Nadia Battocletti ha conquistato (per alcune ore) il bronzo nei 5.000 metri, distanza sulla quale è campionessa continentale, pur tagliando per quarta il traguardo a tempo di record italiano, 14’31’’64, oltre quattro secondi in meno rispetto al trionfo di Roma. La keniana Kypiegon, giunta seconda alle spalle della connazionale Chebet (14’28’’56) e davanti all’olandese Hassan veniva infatti prima squalificata, ma poi riammessa, per aver danneggiato l’etiope Tsegay nel corpo a corpo avvenuto sul suono della campana. Nel frattempo Tamberi è atterrato a Parigi, mentre Desalu e Tortu si sono qualificati per le semifinali dei 200, correndo rispettivamente in 20’’26 e 20’’29. Lo spettacolo tecnicamente più esaltante è stato fornito come previsto dal formidabile Armand Duplantis, signore e padrone del salto con l’asta, gara che ha aperto e chiuso il programma serale. Il non ancora venticinquenne svedese, già oro a Tokyo, ha saltato alla prima prova e sempre con ampio margine 5.70, 5.85, 6.00 e 6.10 (nuovo primato olimpico): gara stravinta e ulteriormente impreziosita dal record del Mondo di 6.25 stabilito al terzo tentativo, che la regia dell’impianto ha salutato con le note di Dancing Queen dei suoi conterranei Abba (decisamente meglio di Felicità per la nostra Bellandi). Miglior finale di serata non avrebbe potuto esserci: anche la campana che Duplantis ha suonato come tutti i vincitori dell’atletica sembrava avere un suono più festoso. Mi sono divertito un Mondo.