In principio era la Pulce di Orzinuovi. Non granché come soprannome, con tutto il rispetto per i colleghi dell’altro giornale, come noi del GdB chiamavamo quelli… dell’altro giornale, che lo avevano partorito. A nessuno piace il paragone con un insetto che salterà pure come pochi altri, ma è anche fastidioso come pochi altri. Orzinuovi poi era semplicemente il paese più vicino a Genivolta, dove vivevano papà Giovanni e mamma Galia, che disponeva di un ospedale con reparto maternità e dove Vanessa era quindi nata, da padre cremonese e mamma bulgara, senza che nessuno potesse immaginare che avesse il Bresciano, anzi Brescia, anzi la Brixia nel destino. Bocciata la Pulce, anche da parte della diretta interessata, e convinto che di lei, all’epoca undicenne o giù di lì, avremmo scritto per almeno un paio di lustri, si trattava di trovare un’immagine che potesse diventare un’antonomasia. Investii della questione anche gli altri redattori dello sport. E quando buttai lì “farfalla”, l’autorevole Gep sentenziò: va benissimo, Vanessa è anche il genere di farfalla più diffuso. Detto, scritto. Per più di vent’anni, come era oggettivamente difficile immaginare. Già, perché Vanessa Ferrari è un rarissimo esempio di enfant prodige e di longevità: campionessa del mondo prima di compiere sedici anni e protagonista in pedana fino alla soglia dei trentaquattro. E questo all’insegna della resilienza, sostantivo sconosciuto ai più fino a un decennio fa, e ultimamente di gran moda, forse anche perché sostitutivo di resistenza, termine che evoca pessimi ricordi agli esponenti del partito di maggioranza relativa.
Pochi atleti – il primo che mi viene in mente è Roberto Baggio – hanno infatti saputo superare infortuni così gravi e ravvicinati e soprattutto convivere a lungo con il dolore. Vanessa l’ha fatto, forte di un’incrollabile fiducia nei propri mezzi e di una altrettanto straordinaria dedizione al lavoro. In questo assistita e guidata dal suo storico allenatore, Enrico Casella, altro inguaribile stakanovista. Il suo impressionante palmarès è facilmente rintracciabile sul web: più complicato tratteggiare il carattere di una ragazza spigolosa – la donna si è poi addolcita – che non faceva nulla per rendersi simpatica e ci riusciva perfettamente. Memorabili alcuni battibecchi con i giornalisti, soprattutto maschi, mentre con le colleghe Vanessa è sempre stata meglio disposta; celebre anche la provocazione alla vigilia delle Olimpiadi di Londra nei confronti delle colleghe della ritmica, dalla stampa nazionale identificate come Farfalle, per una sorta d’ironia del destino; noto solo a una ristrettissima cerchia, il rifiuto di posare come testimonial per una remunerativa campagna pubblicitaria pochi mesi dopo aver conquistato l’oro mondiale nel concorso generale. All’epoca, travolta da un’improvvisa e a volte morbosa notorietà, aveva soltanto due obiettivi: continuare ad allenarsi in santa pace e poterlo fare in una palestra degna di questo nome. Già, perché quel titolo iridato – primo e tuttora unico in campo maschile oltre che femminile – era stato costruito in un impianto ricavato da una piscina dismessa, nel quale né la rincorsa per il volteggio, né la pedana per l’esercizio al corpo libero avevano le misure regolamentari. Come se una squadra di basket si fosse preparata giocando a un solo canestro…
Campionessa del mondo e continentale nell’All Around e poi specialista del corpo libero, dove ha fatto incetta di medaglie, Vanessa ha sognato fino all’ultimo quell’oro olimpico che sapeva di valere fin dai Giochi di Pechino e che gli infortuni, prima ancora del valore delle avversarie (“Loro hanno potuto allenarsi, io no”, l’amaro sfogo dopo l’enorme delusione del 2008) le hanno impedito di cogliere. Paradossalmente la maledizione a cinque cerchi le ha allungato la carriera, fornendo una formidabile motivazione a sfidare gli anni e gli acciacchi. Parigi era l’ultima chiamata, alla quale non ha potuto rispondere per l’ennesima beffa del destino. Non so se l’abbia consolata la consapevolezza che la squadra azzurra più forte di sempre è diventata tale anche per l’esempio che lei ha fornito in vent’anni di carriera al vertice: come testimonial che ha avvicinato alla ginnastica artistica migliaia di bambine in tutta Italia e poi, nel palAlgeco di Brescia da lei fortemente voluto, come compagna di allenamenti a cui ispirarsi per migliorare. So però che oggi inizia ufficialmente la sua seconda vita, alla quale ha avuto tempo e modo di prepararsi in questi ultimi anni di ridotta attività agonistica: la Farfalla ha chiuso le ali, Vanessa continuerà a volare.