10 anni senza Corso Salani. Il Festival di Pesaro lo ricorda con la proiezione di Gli occhi stanchi

Qualcuno, da qualche parte, si è chiesto se il ricordo sia qualcosa che abbiamo definitivamente fatto nostro, oppure qualcosa che abbiamo definitivamente perduto. Ce lo chiediamo spesso per il cinema che non riusciamo a vedere più, ce lo chiediamo spesso per quelle persone che hanno segnato una traccia sensibile e visibile nella nostra esistenza. Corso Salani era uno di questi. Una di quelle persone che hanno restituito entusiasmo al fare cinema, hanno messo in gioco se stessi, il proprio corpo, le proprie emozioni per realizzare un film, anzi quelle emozioni servivano, quotidianamente, per scrivere con cura e maniacale attenzione le sceneggiature di quei film. A dieci anni dalla sua prematura scomparsa il Festival di Pesaro ha ricordato questo cineasta semplice e appartato, appassionato della vita e del cinema, autore dall’anima gentile e disponibile, sempre divertito da ogni occasione della vita. Con Pedro Armocida, il direttore della kermesse pesarese, hanno parlato di Corso Salani Monica Rametta sua amica e cosceneggiatrice di suoi alcuni film (Voci d’Europa e Palabras) e Carlo Valeri della redazione di Sentieri Selvaggi. I due relatori hanno tracciato i contorni della figura umana del regista, la sua inquietudine che si rivolgeva verso una ricerca che si estendeva sempre ai confini di un visibile, di un percepibile, fosse la mappa della Patagonia argentina o i confini del Mare del Nord.

 

 

L’amicizia giovanile tra la stessa Monica Rametta e il regista fiorentino avrebbe avuto l’esito di una proficua collaborazione artistica. Ma il suo racconto del regista e amico ci ha fatto conoscere i tratti più nascosti del carattere di Salani, la sua maniacale puntualità, la sua serietà assoluta durante le ore di lavoro e il rispetto dei ruoli sul set. Era proprio sul set che sembrava ritrovasse la propria vita, ci ha raccontato Monica Rametta e il cinema diventava una continua elaborazione di emozioni. Se al mattino si girava, durante il pomeriggio, nelle tre ore canoniche di lavoro, si scriveva o si migliorava la sceneggiatura, si limavano i dialoghi, in una febbrile rincorsa alla ricerca di quella realtà che il suo cinema sapeva restituire pur nella “falsità” del racconto. Una ricerca che si faceva anche intensa quando bisognava dare un volto ai personaggi dei suoi film, a quelle protagoniste che dovevano raccontare le anime delle donne, per il suo cinema che era particolarmente declinato verso l’introspezione della coscienza femminile. Una ricerca, quella delle attrici, che diventava quasi esaustiva anche del racconto del film. L’attrice avrebbe dovuto abitare il film come egli stesso abitava il suo cinema. È per queste ragioni che come giustamente ha sottolineato Carlo Valeri, Corso Salani è stato forse e resta sicuramente ancora oggi, un autore che con estrema chiarezza e pulizia ha interpretato il suo ruolo di filmaker e di artista. Il suo lavoro ha donato al mondo del cinema un lascito davvero grandissimo, un’eredità fatta di emozioni sincere che i suoi film hanno saputo raccontare nella semplicità di un set sempre domestico, quotidiano, dove il senso del girare era forma vivente e connaturata allo scorrere degli eventi, al formarsi delle stesse emozioni a quel complicato modo di esistere che è la vita di ogni giorno. Ma al tempo stesso il cinema di Corso Salani, sapeva fare diventare evento spettacolare i turbamenti dell’animo, i sottili e vitali movimenti dei sentimenti che diventavano strumenti di conoscenza, colpi di scena della vita, cesure tra un passato e un futuro, in quel presente rivelato che scorre sempre ai margini di un confine. I film di Corso Salani a riguardarli oggi, a dieci anni dalla morte del loro autore, rivelano non solo la sua spontanea e sincera vitalità artistica, ma sono dotati di una originaria e connaturata verità che diventa valore aggiunto per il cinema stesso che di quell’antico splendore, come fu definito, si fa portatore assoluto.

 

Così come accade per Gli occhi stanchi film del 1995 girato tra l’Italia, l’Ungheria, la Slovacchia e la Polonia. Il racconto è quello di Ewa che Corso e i suoi due collaboratori sul set, riportano in Polonia, a casa sua, dopo la fuga che l’ha salvata dopo anni di sfruttamento del proprio corpo da persone prive di scrupoli. Il racconto della travagliata vita che la stessa Ewa sembra mettere in scena durante questo lungo viaggio attraverso le strade d’Europa, diventa un film non solo sulla vita del personaggio cui l’attrice dà volto, ma sulle vite di innumerevoli donne e sulle corde di queste emozioni le immagini di Corso Salani hanno saputo raccontare, con anni d’anticipo, i disagi e il malessere che oggi, più di allora serpeggia dentro l’indefinito universo di insoddisfatti, divorando le felicità di quegli uomini e di quelle donne. Gli occhi stanchi si fonda su un realismo essenziale, esclusivamente cinematografico, ma del tutto vero, che nulla invidia alla falsità naturale del cinema e che anzi, in quella si riversa trasformando, in un gioco al rovescio, quel set in realtà. Un sistema organizzato, un pensiero che diventa forma del reale e che ci fa dimenticare ogni altra contingenza del visibile. In questo senso il cinema di Salani è unico, vero, isolato in un mondo che sembra sfuggire ad ogni catalogazione e ad ogni definizione, esulando la sua natura dal realismo puramente inteso, lontano da ogni falso neorealismo, imitando piuttosto una “vera falsità”, per cercare quella nuova bellezza che gli occhi desiderano e il cinema di Corso Salani ha sempre saputo offrire. Per queste ragioni ci manca profondamente la sua cortese figura, così distante da ogni clamore e da ogni luccichio. La brillantezza del suo cinema era la verità che sapeva conferire alle immagini, la verità di quei sentimenti che sapeva tradurre in storia fatte soltanto di quella stessa consistenza. Così come semplice era la sua vita e per chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, ha potuto saggiare la sua semplicità oltre che la sua immediata disponibilità che non è qualità comune e diffusa in questo mondo, come quando, invitato alla proiezione di un suo film, nonostante la distanza, disse, prendo il treno, perché dovrei prendere l’aereo che costa di più? Ecco il nostro ricordo commosso, si aggiunge a quello di tutti gli altri che hanno visto i suoi occhi mai stanchi e che oggi ancora potranno vedere le sue immagini sempre nuove e sempre alla ricerca di un nuovo confine da scoprire.