Cannes, riflessioni a margine: integrati e anticonformisti

11255732_389444384587248_1025647785_nDa qualche anno una rivista argentina ha lanciato una sorta di sondaggio tra una cinquantina di critici internazionali chiedendo loro di esprimersi in tempo reale su tutti i film di Cannes – sezioni super-laterali incluse (qualcuno dei tanti e felici esclusi da questa follia cannense conosce ad esempio l’ACID?). Il sondaggio dopo l’anno dell’entusiasmante (per la critica pura e dura) palma d’oro a Uncle Boonmee ha preso il nome di Apitcaht-poll. All’inizio i voti erano liberi: ovvero in una scala da 0 a 10 erano inclusi tutti gli intermedi. C’è chi si limitava a cifre tonde, chi sprofondava nei decimali (ricordo un 1,111118), chi faceva sfoggio di competenze geometriche (3,14)… Poi quando si sono sfiorate equazioni con incognite, il redattore ha pensato giustamente di darci un taglio. Ieri, quasi fine di un’edizione che ancora una volta mi ha assorbito più di quanto pensassi ho dato un’occhiata al tabellone. La prima cosa che mi è saltata all’occhio e la generale uniformità dei giudizi sui titoli: critici provenienti da 4 continenti e firme per testate molto diverse da loro concordano nel dire che si tratta di un’edizione non eccenzionale ma neppure terribile. In testa svetta Hou Hsiao-hsien (media 9,63!!) e al fondo giace (Mon Roi – 1,9). Gus Van sant (3,1) è demolito (il sottoscritto sottoscrive); Jia Zhang-ke (che al sottoscritto ha deluso e non poco) è osannato (7,75), un po’ meno però di Apitchapong – che come avrete capito qui gioca in casa (8,62) – e di Miguel Gomes (8,96, As mil e uma noites è il vero evento di questa edizione). I francesi del concorso sono tutti (giustamente) massacrati…Il poll lo trovate qui http://www.todaslascriticas.com.ar/cannes

 

 

Che cosa giace al fondo di questa legge delle cifre? Da una parte dicevo una singolare convergenza che esprime qualcosa che è proprio di questi ultimi anni: una sorta di koiné critica che in modo cosciente o forse no si riunisce senza conoscersi per sostenere i film più estremi, più irriducibili, quelli che al pubblico delle sale risultano inevitabilmente ostici o noiosi. Io non credo lo faccia per snobismo. Alla base c’è il desiderio di opporsi ad una altra comunità molto pervasiva e forte a cui anche Cannes anno dopo anno sembra soccombere, quella dettata dal mercato. O forse sarebbe meglio dire dal marketing. Che fa sì che un film vada programmato sulla carta con estrema attenzione al suo potenziale: soggetto, cast, stile visivo quasi tutto rientra in una strategia, dove il cinema ha ben poco spazio. Seconda osservazione. Ogni film ha però un dissidente, qualcuno che ha sentito l’urgenza di esprimere con veemenza la sua non appartenenza alla comunità. Nel suo porre il critico-spettatore in una posizione estrema (vedere troppi film al giorno, schiacciato insieme a tanti, troppi suoi simili ) il festival induce proprio a queste due48998-the-assassin-di-hou-hsiaohsien-in-500x0-2 posizioni. Spinge a integrarsi in un gruppo che si identifica in un giudizio tanto spassionato quanto poco obiettivo o all’opposto a farsi da parte in una posizione che è quella del solitario controcorrente. Cannes esalta qualcosa che appartiene alla vita di tutti i giorni: la creazione di un sistema codificato (qui le regole vanno alla grandissima: da colore dei badge, al numero di controlli, alle transenne che dividono i vari tipi di pubblico…) limitando la libertà dei movimenti delle persone limita anche la liberta di posizioni che una mente critica può tenere.