Gotico svedese: al Fantafestival l’omaggio a Calvin Floyd

Monopolizzato dalle “scuole” più celebri (come quelle inglesi, italiane e spagnole), l’horror europeo si rivela al contrario un ricettacolo di formule diversificate e in grado di attecchire a ogni latitudine. Prova ne sia il lavoro che da un po’ di anni il Fantafestival sta portando avanti nel riscoprire autori come i tedeschi Eckart Schmidt e Robert Sigl o il polacco Piotr Szulkin, cui si aggiunge, quest’anno, anche lo svedese Calvin Floyd. In tutti i casi, si tratta di nomi che hanno lavorato sul confine tra il genere puro e quelle cifre più tipiche del cosiddetto cinema d’essai, che quindi già lasciavano intravedere la contaminazione tra linguaggi “alti” e “bassi” poi diventata prassi del miglior cinema fantastico attuale. Con soli 5 film realizzati nell’arco di un decennio, Floyd è dunque un autore tanto poco prolifico quanto ostinato all’interno di un panorama svedese poco avvezzo ai generi, se non addirittura ostile agli stessi – quantomeno sul piano meramente istituzionale. Ancora oggi al centro di un complesso lavoro di recupero, complice la perdita dei materiali originali di alcuni suoi titoli, la filmografia di Floyd è stata rivisitata dal Fantafestival attraverso due titoli ascrivibili in maniera più diretta all’horror e alle figure classiche del gotico. Il primo, Vem var Dracula? (letteralmente: Chi è Dracula?) è del 1974, noto anche con il titolo internazionale In Search of Dracula e forse unico suo lavoro ad aver goduto di una distribuzione italiana, sebbene in una versione ridotta di circa mezz’ora, con il titolo Dracula: fantasia o realtà?. Basato sul libro omonimo di Raymond T. McNally e Radu Florescu (da noi Storia e mistero del Conte Dracula), è un documentario che indaga i presupposti storici del più celebre vampiro letterario e cinematografico attraverso un viaggio nei luoghi reali che hanno ispirato Stoker, la celebre figura di Vlad Tepes e la fortuna artistica e commerciale dell’opera, fino alle più celebri trasposizioni del grande schermo, simboleggiate dalla presenza di Christopher Lee nel ruolo del narratore. (In apertura un’immagine tratta da Vem var Dracula?).

 

Victor Frankenstein

 

Sin da questo titolo, Floyd dimostra uno sguardo attento a catturare gli spazi e gli scorci naturalistici attraverso una fotografia realistica ma aperta a una cifra perturbante che sembra guardare direttamente alla corrente del realismo fantastico che pure ha avuto nel cinema di Ingmar Bergman un celebre incursore (si pensi a L’ora del lupo o Il settimo sigillo). Cinema che evoca l’orrore anziché mostrarlo, accosta scene di repertorio e riprese on location con un montaggio a tratti connotativo e capace perciò di creare con poco un’atmosfera magica, mentre solletica la voglia dello spettatore di immergersi sempre più in questo peculiare scenario a metà tra realtà storica e finzione, in cui l’una si nutre “vampirescamente” dell’altra. Il passo successivo è speculare, e chiama in causa l’altra più celebre icona del gotico. In Victor Frankenstein, del 1977, si rilegge infatti il romanzo di Mary Shelley in chiave ancora una volta “realistica”. La trasposizione è la tra le più fedeli al testo cartaceo e predilige l’aspetto esistenziale della Creatura, a scapito della sovrastrutturazione del set che sarà invece la cifra stilistica del più celebre Frankenstein di Mary Shelley di Kenneth Branagh (che pure si porrà un medesimo obiettivo “filologico”). Ancora una volta il minimalismo di Floyd disegna una realtà disadorna che sembra alquanto allineata ai biopic storici in voga all’epoca sul piccolo schermo (si pensi a titoli come Cartesio di Rossellini), ma che è capace di aprirsi a squarci espressivi di un affascinante lirismo fantastico. Come nel prologo tra i ghiacci, quasi una reminiscenza degli scenari ipnotici di Terrore sotto il sole di mezzanotte (affascinante film fantascientifico americano-svedese di Virgil W. Vogel del 1959), con la Creatura che si muove stilizzata sullo sfondo delle sconfinate distese artiche. La qualità espressiva di spazi e paesaggi fornisce uno scenario potente al duello d’attori fra la Creatura di Per Oscarsson, che lavora sulla fisicità e su un make up essenziale, e lo scienziato di Leon Vitali, nome poi associato più facilmente al cinema di Stanley Kubrick. L’omaggio del Fantafestival si è completato poi con un incontro online con Rickard Gramfors, fautore di realtà come Klubb Super 8 e la più recente piattaforma Cultpix, entrambe dedite al recupero del cinema di genere svedese. Gramfors ha così ripercorso la carriera di Floyd film per film, inquadrandola nello scenario cinematografico e sociale svedese. Dopo anni di ostracismo, l’autore sta ora ottenendo la sua riscoperta (destinata a confluire anche in un futuro cofanetto per l’home video) anche e soprattutto da parte degli enti che in passato non lo avevano supportato e che ora hanno compreso la necessità di recuperare la produzione di genere locale: proprio come la Creatura di Frankenstein, insomma, l’ultima parola è la sua.