Il misantropo di Leonardo Lidi: Molière più attuale che mai

«Molière è qui. Se il suo teatro nel Seicento sconvolgeva, nel 2022 deve fare lo stesso». E ancora: «Niente musei, incensi, monumenti. Molière è vivo, vivissimo, basta non sotterrarlo sotto cumuli di inutili riverenze, scappellate, salamelecchi. Se c’è un autore che graffia ancora è proprio lui, basta non tagliargli le unghie». Questi i pensieri di Leonardo Lidi (raccontati da Fausto Malcovati) nel quaderno che accompagna Il misantropo, in scena al Teatro Carignano di Torino fino al 22 maggio. Parole mantenute dal regista che lascia gli artigli al loro posto e, adattando il testo, propone un’attualizzazione estremamente convincente e di grande impatto di personaggi e luoghi: niente parrucche e crinoline, ma eleganti abiti neri o d’argento, niente versi alessandrini in rima baciata ma sferzanti scambi in un paesaggio tra il lunare (non a caso risuona la canzone Guarda che luna) e il desertico (la parola “deserto” riecheggia a più riprese come orizzonte a cui tende il protagonista fino a chiudere lo spettacolo), vero e proprio spazio mentale – o metafisico – a cui accedere da una minuscola apertura.

 

 

Lidi con un’intuizione geniale rende Alceste, il misantropo (un bravissimo Christian La Rosa che con il suo eloquio imprime un ritmo incalzante a tutto lo spettacolo), a tratti schizofrenico tanto da sdoppiarsi nei suoi momenti di maggiore lucidità («Perché ti comporti così, Alceste? Non sono contento di come ti comporti») e lo circonda di uomini senza volto (gli allievi della Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino) che diventano quasi un’ossessione come ad amplificare il numero di pretendenti della bella Célimene (Giuliana Vigogna), la giovane vedova che ha catturato il suo cuore e che riserva le sue attenzioni anche al poeta/cantante Oronte (Alfonso De Vreese). Nulla può Filinte (Orietta Notari), confidente di Alceste che qui cambia di genere dando ancora più vigore al suo amore per Eliante (Marta Malvestiti), innamorata non ricambiata di Alceste. Così come senza speranze è Arsinoé (Francesca Mazza), non una bigotta che fa la morale, ma una donna di mezza età che ricorda a Célimene il passare inesorabile del tempo e della bellezza («C’è un’età per amare e un’età per addormentarsi sulla poltrona» lasciandole intendere che anche per lei verrà un momento in cui «gli uomini della tua età saranno troppo vecchi per te»).
Bellissima la scena del ballo in cui Alceste si muove controcorrente come a sottolineare il suo essere ai margini (accentuato anche dalla sua zoppia: ha un bastone e il tutore a una gamba che lo limita nei movimenti), diverso dagli altri invitati che si divertono e accentuando così la sua volontà di escludersi dal mondo mentre a imporsi è un generico Lui (Riccardo Micheletti), uomo senza volto che sovrasta tutti i presenti.

 

 

Scene e luci di Nicolas Bovery per un’ambientazione che senza inutili fronzoli apre a mondi ulteriori e rimanda alle tele di Giorgio De Chirico e René Magritte, uso di musica e canti di grande efficacia, attori in stato di grazia per uno spettacolo che colpisce nel segno. In un’intervista rilasciata a La stampa, Leonardo Lidi ha dichiarato come «anche in tempi di guerre e pandemie – anzi, forse ancora di più – si debba rimettere l’amore al centro di una riflessione intellettuale, affrontandolo in senso tutt’altro che retorico, ma come una delle forze più grandi che muovono l’uomo e la sua vita e possono salvarlo dall’autodistruzione. L’amore, che non è semplice né immune dalle umane pecche, come spiega anche Molière, può trovare il suo equilibrio anche tra egocentrismi e debolezze, tra desideri di attenzione, masochismi, scontri e dolcezze». Senza retorica ma con la forza delle parole («Una sola, unica, cosa ci distingueva dal resto del pianeta: la parola» – è l’invettiva finale di Alceste, rivolta a ognuno di noi – «E voi l’avete svenduta in cambio di dozzinali apprezzamenti. Per questo io non vi perdonerà mai») Lidi realizza uno spettacolo bellissimo in cui è proprio grazie all’amore se uno spiraglio rimane aperto: «Ti aspetto qui. Solo nel deserto».

 

Foto di Luigi De Palma

 

Torino          Teatro Carignano      3-22 maggio