Locarno 72: ecco il programma di un festival fuori norma

Un festival orgogliosamente “fuori norma” lo definisce la neodirettrice artistica, la svizzera Lili Hinstin, presentando il programma di Locarno 72: “Con il suo schermo gigante di Piazza Grande e i suoi 8000 spettatori, la libertà della sua programmazione, il mix di star, di grandi autori internazionali e dei più audaci giovani cineasti, il Locarno Film Festival contribuisce a ripensare ad ogni edizione i criteri normativi che intorpidiscono l’estetica di questa “industria di prototipi” che è la Settima Arte. E a ridefinire le linee per gli altri, assumendo con coraggio e determinazione il suo ruolo di faro e di guida”. La sfida è alta, continuare sul percorso intrapreso da Carlo Chatrian e tenere livello di una programmazione la cui sfida principale sta nella scoperta dei nuovi talenti, confezionando “un grande festival mondiale che si concede grandi rischi, le cui scommesse sono poi convalidate dagli altri festival, perché gli artisti iniziano regolarmente una carriera internazionale dopo essere stati scoperti e lanciati a Locarno”. E allora eccolo il programma del 72mo Locarno Film Festival, presentato ieri alla stampa e pronto a accendere i proiettori dal 7 al 17 agosto: “Tutte le scelte di una prima edizione suonano come un manifesto – dice Lili Hinstin. Mi auguro che sarà il mio caso e spero di presentarvi, per la mia prima edizione come direttrice artistica, una linea editoriale chiara e precisa e al tempo stesso eclettica, aperta a tutti i generi, a tutti i continenti, a tutte le rappresentazioni”,. A partire dalle “stelle” di questa edizione, ovvero i grandi premi alla carriera, gli omaggi a figure di spiazzanti e comunque di riferimento come John Waters, Pardo d’onore Manor, o come il maestro del cinema svizzero Fredi Murer, o ancora la star Hilary Swank, Leopard Club Award 2019, e Bong Joon-ho, appena impalmato a Cannes con Parasite, assieme alla star asiatica Song Kang-ho. Per non dire del Premio Utopia a enrico ghezzi e del Vision Award Ticinomoda, dedicato alle professionalità del cinema, assegnato alla franco-americana Claire Atherton, la montatrice storica di Chantal Akerman.

Agli 8000 di Piazza Grande il festival propone la sfida di una selezione che faccia da “trait d’union tra intense visioni d’autore e il grande pubblico”, dice la Hinstin. Si va dal dramma giudiziario La Fille au Bracelet di Stéphane Demoustier alla commedia sentimentale ma fuori di testa Notre dame di Valérie Donzelli, dall’azione claustrofobica di 7500, opera prima di Patrick Vollrath, con Joseph Gordon-Levitt al thriller psicologico Instinct di Halina Reijn. E poi ci saranno i grandi appuntamenti in ricaduta dalla Croisette: Once Upon a Time… in Hollywood di Quentin Tarantino e Diego Maradona di Asif Kapadia. Il Concorso Internazionale resta il cuore del festival e “rispecchia la volontà di superare ogni confine”: dal ritrovato Pedro Costa (Vitalina Varela, storia di una capoverdiana arrivata in Portogallo dopo 25 anni di attesa) a Koji Fukuda, Ulrich Köhler, Henner Winckler e Rabah Ameur-Zaïmeche, assieme ai giovani autori acclamati sulla scena dei festival internazionali come João Nicolau, Damien Manivel, Eloy Enciso, Rúnar Rúnarsson, Yosep Anggi Noen, Park Jung-bum. Questo l’elenco dei film del Concorso Internazionale: A Febre di Maya Da-Rin, Bergmál (Echo) di Rúnar Rúnarsson, Cat In The Wall di Mina Mileva e Vesela Kazakova, Das Freiwillige Jahr di Ulrich Köhler e Henner Winckler, Douze Mille di Nadège Trebal, Fi Al-Thawra (During Revolution) di Maya Khoury, Hiruk-Pikuk Si Al-Kisah (The Science Of Fictions) di Yosep Anggi Noen, Hogar di Maura Delpero, Les Enfants D’isadora di Damien Manivel, Longa Noite di Eloy Enciso, O Fim Do Mundo di Basil Da Cunha, Pa-Go (Height Of The Wave) di Park Jung-Bum, Technoboss di João Nicolau, Terminal Sud di Rabah Ameur-Zaïmeche, The Last Black Man In San Francisco di Joe Talbot, Vitalina Varela di Pedro Costa, Yokogao (A Girl Missing) di Koji Fukada.

Ci sono poi i “Cineasti del presente”, nuovi autori, nuovi linguaggi spesso al confine tra documentario e finzione, insomma “un nuovo modo di fare cinema”. Si parte dell’opera seconda della grande Jeanne Balibar, Merveilles à Montfermeil, e si va in svariate direzioni: Space Dogs di Elsa Kremser e Levin Peter, Ham on Rye di Tyler Taormina, Love me Tender di Klaudia Reynicke, 143 rue du désert di Hassen Ferhani e Baamum Nafi di Mamadou Dia e altri ancora. Lo spazio ancora più sperimentale è garantito dalla sezione che sino all’anno scorso si chiamava “Segni di vita” e da quest’anno si chiama “Moving Ahead”, dove, doce Lili Hinstin, si avvicenderanno “opere di sperimentatori del presente (dal maestro Jean-Claude Rousseau, fino a Éric Baudelaire, Ben Rivers e Anocha Suwichakornpong) e quelle di giovani artisti di ogni parte del mondo”. La retrospettiva, infine: rimandata all’anno prossimo (per urgenza d’attualità) quella annunciata e dedicata a Blake Edwards, quest’anno si lavora su Black Light, una ricognizione storica sul cinema nero:“Strutturata come un’indagine eclettica focalizzata principalmente sul ventesimo secolo, la Retrospettiva Black Light presenterà autori di culto, Race movies degli anni ’20 e ’30, capolavori pionieristici, film emblematici della Blaxploitation degli anni 1970 e autori essenziali che hanno interpretato e rappresentato la loro epoca politica”.