Un’edizione d’emergenza intesa come «atto dell’emergere» dicono Daniela Nicolò e Enrico Casagrande nell’introduzione a Santarcangelo Festival 2050 (arrivato quest’anno alla 50a edizione) e la prima parte, dal titolo Futuro Fantastico va in scena dal 15 al 19 luglio per poi proseguire nel corso dell’anno e arrivare al clou nel luglio 2021. Un Festival di contaminazioni tra le varie arti, com’è nella natura di Motus: teatro, danza, musica e naturalmente cinema. In collaborazione con Filmmaker Festival è nato il progetto Transfert per Kamera, citando l’omonimo film di Alberto Grifi dedicato al laboratorio multimediale di Aldo Braibanti, che segna la prima concreta possibilità di far incontrare teatro e cinema in una maniera inedita. Cinque giovani filmmaker (Chiara Caterina, Maria Giovanna Cicciari, Riccardo Giacconi, Enrico Maisto e Leandro Piccarella) sono chiamati a misurarsi con cinque spettacoli in scena non per dar vita a una versione cinematografica né tantomeno a una semplice documentazione filmata, ma per cogliere sul nascere lo sviluppo di una forma teatrale. Un progetto ambizioso, che darà vita a un film collettivo. Ne abbiamo parlato con Luca Mosso e Matteo Marelli, anime di Filmmaker Festival e artefici di questo incontro.
Come nasce la collaborazione con Motus?
Matteo Marelli (MM) Siamo in contatto con Daniela e Enrico fin dallo scorso anno quando sono venuti a fare i giurati a Filmmaker: si era cominciato a parlare un po’ del festival, quindi quando ci siamo rifatti sentire ha preso vita questo progetto. All’inizio pensavamo di doverci occupare solo della programmazione dei titoli in piazza, che comunque era una bella cosa, dopo abbiamo giocato al rialzo e la proposta che abbiamo fatto all’inizio ha spaventato e poi li ha conquistati. Ora bisogna vedere l’esito, quella ovviamente è un’incognita per tutti quanti.
I cinque registi scelti sono di casa a Filmmaker festival.
MM Sì, sono tutti passati da Prospettive e alcuni, come Piccarella e Giacconi, hanno anche fatto il salto nel concorso internazionale. Sono cinque registi che seguiamo e abbiamo visto crescere e ci piace pensare che, in parte, abbiamo contribuito a far crescere.
Luca Mosso (LM) L’aspetto fondamentale è che sono tutti registi filmmaker, stanno in macchina, non usano l’operatore. La richiesta è che il loro lavoro sullo spettacolo si deve realizzare grosso modo durante la rappresentazione e l’incontro deve essere un incontro non solo di sguardi, ma in alcuni casi anche di corpi. Infatti alcuni autori di teatro hanno piacere che il filmmaker sia sulla scena con la sua macchina da presa, non che sia nascosto. Santarcangelo è un posto dove gli spettacoli raramente rispettano la divisione tradizionale tra spazio scenico e platea, anzi prevedono spesso spazi in cui il pubblico condivide la scena con i performer, creando combinazioni molto interessanti, allora la presenza di uno sguardo e di un corpo che guarda e che filma diventa un elemento dello spettacolo, anche se non previsto.
Non siete però interessati a realizzare un documentario su Santarcangelo 2050.
LM La nostra curatela si inserisce nel proporre un punto di vista personale. Quello che abbiamo chiarito subito è che non sarà una documentazione dello spettacolo, non sarà teatro filmato, ma chiediamo al regista di essere uno spettatore che ragiona sull’essere spettatore, che sceglie e manifesta quello che sceglie di vedere e il luogo in cui sceglie di stare. Pur non essendo una collaborazione a partire dal testo o cose del genere, quello che proponiamo è un incontro tra un regista e uno spettacolo teatrale, una compagnia, un performer, un attore che avviene davanti a tutti
Come avete proceduto per realizzare gli abbinamenti?
MM La scelta degli spettacoli è avvenuta con Motus, a loro interessava mostrare le diverse anime del festival. Gli spettacoli sono un mistero anche per noi, non sappiamo quello a cui andremo incontro, però dalle schede tecniche che ci siamo fatti dare abbiamo creato degli abbinamenti tenendo conto della sensibilità dei registi. Per esempio lo spettacolo di Fanny & Alexander fa parte del progetto Se questo è Levi: si tratta dell’ultima parte, I sommersi e i salvati, e si svolgerà all’interno della sala consiliare di Santarcangelo. Proprio tenendo conto di questo spazio è stato immediato pensare a Enrico Maisto e al lavoro che aveva fatto per La convocazione. È stato un incontro fortunato perché quando abbiamo fatto vedere il film a Luigi De Angelis gli è piaciuto moltissimo il lavoro e vorrebbe che Maisto dimostrasse la stessa sensibilità verso lo spazio in cui si terrà lo spettacolo.
E gli altri?
LM Maria Giovanna Cicciari e Chiara Caterina seguono la danza da tempo e quindi sono partite con un’idea precisa di come vedere la danza, da verificare ovviamente sul campo. Era molto chiaro a noi che il lavoro di Virgilio Sieni può offrire molti spunti a Cicciari che aveva lavorato proprio sulle forme, il confronto tra l’arte, i quadri, la scultura e la ricerca dei movimenti di danzatori o coreografi. Abbiamo riconosciuto subito la possibilità di una convergenza di ricerca. Caterina seguirà invece Benjamin Kahn, Sorry, But I Feel Slightly Disidentified…, prima pièce di una trilogia dedicata ai temi del corpo e degli stereotipi.
Nei casi in cui, invece, non c’è una conoscenza diretta, vale un po’ l’ottica del “vediamo l’effetto che fa”, il confronto può comunque essere interessante. È un po’ più rischioso, si scommette su un’intuizione. Quella con Maisto sembrerebbe giusta, anche perché da quello che si sono detti e da quello che sta venendo fuori sembrerebbe che ci siano delle affinità non previste, sperate, ma che non sapevamo. Se respira en el jardín como en un bosque del Conde de Torrefiel, per due persone alla volta, è uno spettacolo enigmatico, che sfida la filmabilità, e allora abbiamo scelto Riccardo Giacconi che è un regista intellettuale che ha gli strumenti necessari per affrontare una sfida, anche teorica, di quel tipo e per trovare soluzioni felici artisticamente. Leandro Piccarella seguirà Family Affair del collettivo ZimmerFrei, un lavoro molto stimolante, non semplice, il cui tema di partenza è la convivenza in tempi di pandemia. Loro già prevedono un utilizzo di immagini, vedremo cosa ne viene fuori. Alcuni sono spettacoli che si danno più facilmente e quindi sarà la parzialità del punto di vista a valorizzarli, la scelta di un dettaglio, di una linea espressiva piuttosto che un’altra.
Come lavoreranno i registi, avete dato loro delle indicazioni?
LM Abbiamo previsto una struttura produttiva e tecnica di base che vale per tutti, abbiamo un fonico di cinema per tutta la durata del Festival. Ogni regista ha due possibilità per seguire lo spettacolo con il suono fatto bene. Abbiamo voluto dare delle garanzie di tipo tecnico-professionali in modo non dico di avere un’omogeneità, perché i lavori saranno tutti diversi tra loro, ma per tenere standard tecnici minimi di un livello alto che permettano la proiezione su grande schermo.
MM Allo stesso tempo ci interessava porre dei limiti ai registi: mettere tutti nelle stesse identiche condizioni produttive eliminando la loro libertà, anche questa ci sembrava una sfida interessante.
LM Ogni regista segue uno spettacolo e ha a disposizione solo il tempo della performance, poi due volte magari, però tutto quello che può filmare è filmato in scena. Mi piacerebbe si cogliesse il momento in cui una pratica performativa diventa una forma filmica, essere in quel momento lì, questa è l’utopia di questo progetto. Credo che la convergenza di un cinema diretto insieme a un movimento performativo che in quell’attimo trova la sua realizzazione siano dei presupposti per tentare di ottenere questa coincidenza che è un po’ un raggio verde.
È una risposta finalmente interessante all’idea di coniugare cinema e teatro. Anche in prospettiva in qualche modo con Transfert per Kamera fate da apripista.
LM C’è una certa quota di rischio, perché è un progetto che si basa sulla sfida di cogliere un momento magico che potrebbe esserci o meno. È vero che i festival hanno un’energia che non hanno forse cose progettate e scritte con tutti i dettagli, succedono delle cose nei festival che normalmente si fa fatica a trovare. Inoltre il lavoro di Motus è un lavoro dove il teatro guarda spesso alle immagini in movimento e quindi potrebbe essere il luogo giusto per fare incontrare gente che viene dal cinema e guarda al teatro. L’energia necessaria per fare questo salto, peraltro dopo essere stati per tanto tempo separati, potrebbe venire anche dal fatto che gente che viene da posti e da discipline diverse trovi finalmente il modo di incontrarsi. Non è indifferente che siano due Festival a organizzare questo incontro, è un atto di fede anche nei confronti del fatto che il Festival possa mobilitare e attivare delle risorse e delle energie che normalmente non ci sono o quantomeno è difficile avere.
MM È un progetto che dichiara anche la parzialità del punto di vista, non si avrà una visione complessiva del lavoro teatrale, ma ci auguriamo che quello che verrà mostrato possa esser particolarmente significativo. E poi ci piace l’idea che il Festival possa essere non solo luogo di proposta, ma anche di creazione e ci sembra che questo progetto riesca a tradurre praticamente questa idea.
Quando si vedrà il film?
LM Una prima versione dei lavori, delle schegge, andrà in onda su Rai Tre, in una notte speciale di Fuori orario. Cose (mai) viste. Poi il film verrà presentato a Riccione TTV Festival e a Filmmaker festival.
Avete anche curato la programmazione dei film in piazza, Sans soleil – visioni rare e non identificate in cui si vedranno anche i film di Caterina, Cicciari, Giacconi, Maisto e Piccarella.
LM Il punto di partenza è sempre l’incontro. Un autore di teatro fa vedere e filmare il suo spettacolo a un filmmaker che, a sua volta, mostra il suo film a un pubblico in cui idealmente c’è tra gli spettatori l’autore teatrale, c’è un’idea di condivisione, di corrispondenza in un Festival che è interessato da sempre al cinema e quindi l’incontro avviene sia personalmente sia attraverso i rispettivi lavori.
MM Per quanto riguarda gli altri film in cartellone abbiamo cercato di pensare a titoli che possano essere declinati anche in una dimensione installativa, tenendo conto di quella che è la programmazione in piazza. Sono film circolati solo nei festival, può essere un po’ un azzardo, gli anni scorsi c’erano titoli di maggior richiamo, che già facevano parte dell’immaginario spettatoriale, quindi vediamo come sarà la risposta della piazza. Ci sembrava divertente aprire con Stars di Johann Lurf che è proprio un tornare a riveder le stelle: dopo mesi di clausura forzata si torna a vedere un cielo stellato e qui c’è anche l’idea che, oltre a quello che si vede sul grande schermo, se il tempo ce lo permette, il cielo stellato dovrebbe essere anche al di sopra delle nostre teste. Questa come apertura ci sembrava un bello slancio. Chiuderà invece Felix in Wonderland di Marie Losier che era già stata contattata dai Motus, noi avevamo fatto da tramite, perché c’è in ballo un altro progetto cinematografico…
LM … che si vedrà l’anno prossimo, lei sarà la protagonista insieme a Felix di una performance e forse si filmeranno… questo è un discorso che è partito dalla riflessione con Motus.
E c’è Carmelo Bene…
LM Sì, Bene! Quattro diversi modi di morire in versi è materiale che arriva dalle Teche Rai ed è curato da Fulvio Baglivi. Lì è un rapporto molto creativo dentro la tecnica della televisione anni 70, con gli effetti elettronici di primo tipo, girato in ampex, totalmente controllato e totalmente fuori da ogni idea di televisione normale. La cosa interessante è che Carmelo Bene usava le tecniche televisive per fare un oggetto totalmente antitelevisivo. Come tutti gli interventi di Bene, in qualsiasi contesto era sempre Bene.
MM C’era una consapevolezza del mezzo che stava utilizzando per piegarlo alle proprie esigenze teatrali creative.
ML Carmelo Bene chiuderà due serate. Ci piace immaginare che, al di là delle immagini, la sua voce attraversi il paese e riecheggi nella notte…