Enrico Maisto: La convocazione, una giornata davvero particolare

La giuria popolare è nell’immaginario di qualsiasi spettatore di Legal Drama o Legal Thriller. Ma sapere come si entra a farne parte non è così scontato. La convocazione, il documentario diretto da Enrico Maisto (classe 1988), che lo ha scritto con Valentina Cicogna, racconta la cronaca di una giornata destinata a lasciare il segno perché porta uomini e donne a contatto diretto per la prima volta con l’amministrazione della Giustizia. Ogni tre mesi sessanta cittadini, estratti a sorte da un sistema informatico, sono convocati nell’aula in cui si celebrano i processi della II sezione della Corte d’Assise d’Appello. Qui incontrano due giudici togati (il Presidente e il Giudice a latere) che hanno il compito di selezionare sei giudici popolari e i loro sostituti. Alla fine della giornata queste donne e questi uomini sapranno se, indipendentemente dalla loro volontà, sono stati selezionati. Un film bellissimo che segue da vicino la trasformazione, attraverso tutti gli stati d’animo immaginabili, del cittadino comune in pubblico ufficiale con il compito di emettere una sentenza.

Dopo il premio Solinas per la sceneggiatura, il film – prodotto da Start e Rai Cinema – si è aggiudicato il Premio del pubblico al Festival dei Popoli 2017 e ora apre la quinta edizione de “Il mese del documentario” per poi essere distribuito in sala. Abbiamo incontrato Enrico Maisto.

 

 

Da dove nasce l’idea?

Insieme a Valentina Cicogna, stavo cercando di scrivere un lavoro di finzione sulla figura del giudice e nelle ricerche siamo incappati in questa cerimonia di selezione dei giudici. Casualmente abbiamo assistito, seduti anche noi in mezzo ai convocati, mimetizzati tra di loro, a una convocazione e siamo rimasti affascinati da quello che succedeva in quell’aula perché c’era davvero l’incontro dei cittadini, persone comuni, con la Giustizia, con l’esperienza del giudizio. Quindi abbiamo pensato potesse valere la pena provare a farne un documentario.

 

È un film che attraverso le espressioni preoccupate, i frammenti di dialogo pone questioni etiche di peso…

Ci è sembrato subito un laboratorio umano davvero interessante da esplorare. Per me era particolarmente importante perché entrambi i miei genitori sono magistrati (peraltro il giudice che seleziona nel film è mia madre) e quindi è una figura professionale che mi ha sempre attratto. Il fatto che persone comuni si trovino a dover diventare dei giudici, e quindi a doversi immaginare che cosa potesse significare mettersi nei panni del giudice, con tutti i problemi, i dubbi, le paure che ne possono conseguire, faceva sì che automaticamente le mie riflessioni uscissero allo scoperto e diventassero un po’ le riflessioni di tutti loro, per cui da private diventavano le riflessioni di tutta la platea, di tutti i convocati. Mi è sembrata fosse l’occasione giusta per porre queste domande, per fare in modo che questi miei interrogativi venissero fuori.

 

Impressionante il silenzio che regna all’inizio, che poi si trasforma in indignazione (per il modo in cui si è convocati, per il tempo e il denaro perso…) e lascia spazio alla rassegnazione e alla gratificazione. Tutto nell’arco di una giornata.

Sì, si assiste a una piccola metamorfosi, c’è proprio una trasformazione di queste persone e abbiamo cercato di restituirla nel film anche grazie al montaggio.

 

Il lavoro di montaggio è straordinario, in particolare per quanto riguarda i dialoghi.

Veronica Scotti e Valentina Cicogna sono state eccezionali. È vero, c’è stato un lavoro di costruzione drammaturgica notevole anche se poi, in realtà, i discorsi sono ovviamente i loro, ma non era semplice organizzarli in maniera tale che venisse fuori il senso della trasformazione di cui parlavamo, per cui dal primo ingresso in cui c’è solo la paura e tutti sono molto preoccupati da problemi che riguardano la logistica, il lavoro, tutte quelle che sono le loro problematiche individuali e poi, piano piano, cominciano a prestare attenzione a quello che è lì intorno, a quelle che sono le implicazioni della situazione in cui si sono venuti a trovare. C’è un vero e proprio spostamento dall’attenzione verso se stessi all’attenzione verso il compito a cui sono chiamati e questo li porta in qualche modo a riflettere su degli aspetti a cui, magari, non avevano mai pensato prima di quella giornata. E c’è una forma di cambiamento per cui anche quelli che non sono scelti in qualche modo, probabilmente, vengono segnati da questa giornata e scoprono cose che prima non immaginavano. È un momento di formazione per tutti.

 

In quanto tempo hai girato e con quanti operatori?

Gli operatori erano tre, quindi tre camere, e abbiamo girato per un anno e mezzo. Nel film ci sono sette giornate diverse nell’arco di un anno e mezzo. Questo fino al momento della scelta. Dal momento in cui vengono proclamati i nomi dei giudici popolari, invece, è un’unica giornata ed è effettivamente la giornata in cui è stata scelta la giuria che ha fatto il processo per la strage di Piazza della Loggia a Brescia. Fino al momento della scelta abbiamo giocato mischiando più giornate, ma le persone che si vedono giurare sono effettivamente quelle scelte.

 

Stai molto addosso alle persone, ma loro sembrano dimenticarsi di essere ripresi. Verrebbe da dire che c’è una grande direzione degli attori…

Loro non sono attori e questo fa sì che siano più preoccupati di quello che devono fare per il Tribunale che non dalla nostra presenza. Quindi questo ha giocato a nostro favore perché ci ha aiutato a diventare invisibili. Abbastanza presto si dimenticano che ci sono delle macchine da presa che li stanno riprendendo e pensano molto di più a quello che dovranno dire al giudice quando verranno chiamati in Camera di consiglio e a quello che dovranno fare se verranno scelti. Il fatto di avere questa spada di Damocle che pende sulle loro teste, ci ha reso talmente poco importanti che ci ha fatto sparire. I primi piani erano molto ravvicinati, non eravamo lontanissimi, ma comunque usavamo delle lenti abbastanza lunghe, quindi la distanza tra noi e loro c’era, invece il microfono era sempre molto vicino. Però, ripeto, avevano cose più importanti a cui pensare.

 

Bellissimo lo sguardo iniziale da dentro a fuori del Palazzo di Giustizia di Milano, quasi a circoscrivere lo spazio entro cui poi si svolgerà la vicenda…

Erano delle immagini che avevo dentro da tanto tempo e sono contento abbiano trovato un posto con questo film. Le avevo dentro fin da piccolino perché ho sempre girato per i corridoi di quel Tribunale e finalmente hanno trovato una loro collocazione. L’idea è quella di entrare in un tempio…

 

A questo proposito la citazione iniziale di Pietro Calamandrei («Per trovare la giustizia bisogna esserle fedeli: essa, come tutte le divinità, si manifesta soltanto a chi ci crede») fa subito scattare l’identificazione con il luogo sacro e il rito che lì si svolge.

Il Tribunale è un luogo che ha una sua sacralità e questa cosa si percepisce anche dall’atteggiamento che hanno le persone quando ci entrano, sembra stiano entrando in una chiesa.

Perché hai dedicato il film a Biancamaria Spricigo, la giovane ricercatrice dell’Università Cattolica scomparsa lo scorso aprile a soli 33 anni?

Biancamaria lavorava al Centro Studi Penali “Federico Stella” della Cattolica. È stata una persona che mi ha aiutato tantissimo quando ancora non c’era la Rai, non c’era una struttura produttiva. Stavo cercando la maniera di produrre questo film e quindi pensavo di riuscire a trovare dei fondi attraverso il Centro “Federico Stella”. Lei credeva molto in questo progetto e nonostante stesse già male, era una persona che aveva un’energia, una forza incredibile, ed è riuscita a infonderla a me. Quindi mi sembrava davvero il minimo associare La convocazione al suo nome.

 

La convocazione a Il mese del documentario

Roma              Casa del Cinema                    15 gennaio ore 20.30

Milano           Cinema Beltrade                     17 gennaio, ore 20.30

Nuoro             Isre – Auditorium Lilliu       18 gennaio, ore 18.30

Napoli             Ciema Astra                            19 gennaio, ore 20.30

Firenze            La compagnia                        21 gennaio, ore 19

Palermo          Rouge et Noir                         22 gennaio, ore 19

Bologna           Cineteca                                   25 gennaio, ore 20