Addio ad Alan Arkin, un grande talento comico capace di brillare in ruoli difficili

Little Miss Sunshine (2006)

Quando scompare qualcuno del mondo dello spettacolo risulta sempre un po’ complicato celebrare lo spessore di carriera e di privato: ti concentri sui film, sulle opere di vita, sul carisma regalato al pubblico, sui personaggi rimasti impressi nella memoria cinefila comune… Alan Arkin, scomparso all’età di 89 anni il 29 giugno scorso, lo si può definire «ottimo caratterista», «protagonista fuori dagli schemi», «volto modellabile» capace di spaziare in ogni registro e genere possibile: dal dramma turgido alla commedia brillante, dal thriller claustrofobico alla farsa, dalla fiaba dark alla fantascienza rétro… Un attore completo, con una solida carriera teatrale, spesso sottovalutato ma sempre apprezzato per il suo rigore verso la disciplina recitativa e per come sia sempre riuscito ad aderire epidermicamente a ogni copione proposto, a ogni storia realizzata per il bene del pubblico.

 

L’infallibile ispettore Clouseau (1968)

 

Nato e cresciuto in una famiglia ebrea, quindi poi accostato a tutti i grossi nomi della scuola comica ebraica americana (Woody Allen, Carl Rainer, Mel Brooks…), Arkin ha sempre vissuto all’ombra dei suoi colleghi, non è mai assurto a divo di primo piano: gli piaceva improvvisare, ma senza tradire un approccio psicologico a quello che lo circondava (d’altronde è stato allievo di Benjamin Zemach, promulgatore del metodo Stanislavskij). Nel 1957 compare brevemente in Cuban Calypso, ma sarà nel 1966 che riuscirà ad affermarsi con Arrivano i russi, arrivano i russi di Norman Jewison, titolo in cui si guadagnerà la prima (di quattro) nomination agli Oscar. Vestirà poi i panni dell’ispettore Clouseau (in luogo di Peter Sellers) ne L’infallibile ispettore Clouseau, poi ci saranno Mike Nichols (Comma 22), Herbert Ross (Papà… abbaia piano! e Sherlock Holmes: soluzione settepercento), Arthur Hiller (Una strana coppia di suoceri), pure Vittorio De Sica, che lo dirige accanto a Shirley MacLaine in un episodio di Sette volte donna.

 

Gli occhi della notte (1967)

 

Eppure, i suoi ruoli più conosciuti e apprezzati restano quello del crudele Harry Roat, spietato criminale che tormenta una non vedente Audrey Hepburn nel meraviglioso thriller Gli occhi della notte (lo stesso Arkin raccontò di aver provato forte disagio nelle sequenze in cui il suo personaggio molesta Hepburn, perché «Audrey era meravigliosa, dentro e fuori»); quello di Bill Boggs, ovvero il padre di Winona Ryder, un po’ menefreghista e superficiale, in Edward mani di forbice, dove fa da perfetto contraltare al personaggio candido di Dianne Wiest, sua moglie nella finzione; quello di Edwin Hoover, nonno vizioso tra eroina e riviste pornografiche, nel gioiellino indie Little Miss Sunshine, grazie al quale riceverà il suo unico Oscar come Miglior attore non protagonista e che segna, finalmente, un secondo inizio di carriera, culminata qualche anno dopo con Argo di Ben Affleck e con la serie tv, a firma di Chuck Lorre, Il metodo Kominsky.

 

Il metodo Kominsky (2018)

 

Ecco, tutto questo è (stato) Alan Arkin, il saper adattarsi con senso dell’ironia a ogni storia traslata sullo schermo (grande o piccolo che sia), magari soffrendo per mancati sprazzi di luce da riflettore non concessi (forse neppure cercati), ma sempre capace di guadagnarseli grazie a un talento innato e, per questo, ancora più godibile per tutti noi. «Sono sempre stato un caratterista. Non sono mai stato un protagonista. Mi ha dato l’opportunità di non dovermi togliere i vestiti tutto il tempo».