Bernardo Bertolucci e Pier Paolo Pasolini; tutto iniziò da Accattone…

Per ricordare Bernardo Bertolucci proponiamo estratti sui suoi inizi da interviste tratte da Focus on film, Positif e L’avventurosa storia del cinema italiano (Feltrinelli) a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi.

 

Io e Pier Paolo

Sono gli anni in cui scendevo quattro a quattro gli scalini di via Giacinto Carini 45, a Roma, nel quartiere piccolo borghese di Monteverde Vecchio. Noi abitavamo al quinto piano, Pier Paolo al primo. Quando gli portavo una mia poesia il suo giudizio partiva sempre con un sorriso impercettibile e muto. Pensavo che avrebbe potuto mettersi a urlare da un momento all’altro, ma non lo faceva mai. I suoi silenzi e i suoi sguardi erano più eloquenti dei lunghi discorsi tipo quelli di mio padre. Partivamo tutte le mattine alle 8 da via Carini diretti alla bogata Gordiani, alla Maranella, al Pigneto, a tutti gli altri luoghi che, messi assieme, avrebbero formato l’assoluta unità di luogo della tragedia di Accattone, eroe prepsicologico, preistorico, predialettico, prepolitico. Pier Paolo, il regista, guida un’Alfa Romeo, come avrebbe fatto sempre fino alla morte. Io, l’aiuto-regista, sono seduto al suo fianco. Durante il tragitto, mi racconta i suoi sogni notturni e li elabora, mentre intanto segue la segnaltica stradale con la precisione maniacale di chi conosce il proprio disordine e tenta di compensarlo con un rispetto ossessivo del codice stradale. La funzione prima dell’aiuto-regista, dell'”assistente” è quella di assistere. E’ così che io seguo la reinvenzione del linguaggio cinematografico di Pier Paolo. Alcuni metri di binario vengono buttati sulla polvere, sembrano caduti per caso, e infatti sarà la prima carrellata della storia del cinema. E quando Pasolini decide di fare una panoramica o un primissimo piano, ho l’impressione di assistere all’invenzione della panoramica o del primisso piano.  Per lui il cinema fino ad Accattone non era stato che un luogo di incontro di nuovi amici.  C’erano pochi film che amava e non mi rammento che di qualche Chaplin e dei “testoni” della Giovanna di Dreyer. Di lì il bisogno di creare il suo personale linguaggio cinematografico. Io, al contrario, venivo dal cinema, ossia da un recente viaggio a Parigi. Molta cinémathèque, e in particolare A bout de souffle, e a partire da quel giorno i boulevards, i volti, la luce, il traffico erano stati la prova quotidiana che la realtà di Parigi non era che un riflesso di A bout de souffle piuttosto che il contrario. Esaltato dalla convinzione di partecipare a mio modo alla reinvenzione del cinema, un giorno finsi di dmenticare un numero dei Cahiers sull’Alfa Romeo. Risultato, un’occhiata distratta di Pier Paolo. Deluso, ma non sconfitto, lo assediai fino al momento in cui non lo feci entrare in una sala della periferia romana in cui davano Fino all’ultimo respiro, A bout de souffle in italiano, “Quanto hanno riso i ragazzi di Torpigna davanti al tuo Godard!” fu il suo commento. Può anche darsi che fosse geloso, se esiste una gelosia nelle perone che si sentono delegate a incarnare una figura paterna. Pier Paolo, che era anche un profeta, sentiva che, poco tempo dopo lo avrei tradito per Jean-Luc. Qualche anno aprresso avrebbe critto una poesia: Come in un film di Godard…, e sarebbe stato lui a chiedermi qualche numero dei Cahiers (“Ho conosciuto alcuni redattori, sono giovani, entusiasti, simpatici…”).

 

 

 

 

La commare secca

Dopo avere fatto l’aiutoregista in Accattone mi sono trovato a sceneggiare insieme a Sergio Citti, per Tonino Cervi, un soggetto di Pier Paolo che però lui non voleva dirigere. E’ stato Cervi, che era allora giovane e pieno di iniziativa, a dirmi se volevo dirigerlo io. Con grande incoscienza io gli risposi subito di sì. Costò poco, 50 o 60 milioni, e mi fece entrare nel cinema a soli 21 anni.

 

Alla Biennale

A Venezia fu presentato nella sezione informativa, certi critici lo accolsero male, molto male, e certi bene, una mioranza. Avevo appena vinto un premio a Viareggio opera prima per la poesia, con un libretto In cerca del mistero, che raccoglieva le poesie scritte in sette anni, tra i 14 e i 21 anni. Questo indispose parecchio a Venezia, e mi suscitò antipatie, invidie.