Calexico, il sound che abbatte i muri

calexico1-f5f8cd55dc64b9ecdae1f1baf3ea5c939fa4f46d-s1000-c85Nel profondo West americano, c’è un’ampia area desertica che si estende dalla California statunitense alla Baja messicana: al centro di essa, le città gemelle di Calexico e Mexicali, che si specchiano da una parte e dall’altra del confine. Ricorrendo alla crasi, il gioco di parole che le definisce è il medesimo, ma l’ordine degli addendi dà risultati oggettivamente diversi, perché essere a Nord o a Sud non è davvero la stessa cosa. Da Calexico, USA, deriva il proprio nome un duo che da vent’anni utilizza la musica (e poche parole) per descrivere la faticosa convivenza tra i popoli, nonché quella dell’uomo con la natura, ora fragile madre, ora devastante matrigna. John Convertino (batteria e percussioni) e Joey Burns (chitarra e voce) si sono conosciuti all’università, nella californiana Irvine, e poi hanno suonato insieme nei Giant Sand. Dal 1996 sono la spina dorsale dei Calexico, gruppo che propone un personalissimo country alternativo, un crossover sonoro in cui il tex-mex si mescola con ritmi mariachi, echi psichedelici, influenze jazz, malinconie blues. Dopo alcuni concerti in giro per l’Italia, Paese al quale sono molto legati – Convertino per origine, Burns per affinità elettive – la band di stanza a Tucson, Arizona, è a Roma, per il Concertone del 1º Maggio, durante il quale rafforzerà probabilmente la collaborazione che dura da tempo con Vinicio Capossela. Abbiamo conversato con Convertino e Burns, spaziando dalla musica ad altri argomenti di attualità.
 
 

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Joey, John: per il disco “Edge of the Sun”(2015) – l’ultimo di una produzione che conta 8 album in studio più alcune colonne sonore – vi siete trasferiti a Città del Messico, nel barrio bohémien di Coyoacán. È stata un’esperienza positiva?

Volevamo un posto che non fosse New York o Los Angeles: Città del Messico è perfetta, lontana dalla mentalità autoreferenziale che regna in USA. Cercavamo una prospettiva fresca, da portare in giro per il mondo con la band, e l’abbiamo trovata. Dunque sì, siamo soddisfatti.
 
 
Qual è il sound dei Calexico, oggi?

JOEY – Se devo inquadrarci, dico: cantautori del Sud-Ovest, indie-rock, con influenze da ogni parte
del mondo; d’altronde abbiamo una band i cui elementi provengono da Spagna, Germania, Usa. Anni fa un amico giornalista ricorse all’immagine “desert noir” (cioè ‘deserto scuro’, riferendosi alle atmosfere cupe, dark, che caratterizzavano i dischi anni Novanta del gruppo, ndr): bella intuizione, che tuttavia offre una sola prospettiva. Penso che per capire il nostro sound si debba ascoltarlo live, perché lì vive e respira.
JHON – Io ritengo che dobbiamo essere felicemente liberi, aprirci all’assaggio di sonorità sempre
nuove e lasciare che le cose amare fluiscano, per trattenere quelle belle…
 
 
Qual è la musica che vi da piacere ascoltare?

JOEY – Un elenco (incompleto): Natalia Lafourcade, Carla Morrison, LOW, Gaby Moreno, Gillian
Welch, Amalia Rodrigues, Tom Waits, Bill Callahan, Father John Misty.
JOHN – Io amo particolarmente il jazz degli anni ’50 e ’60. Ma pure i compositori classici del
secondo Ottocento e del primo Novecento. Di fatto, ascolto di tutto, con gusto.

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Suonate al concerto del 1º Maggio, per la Festa dei Lavoratori. Da noi è un avvenimento
importante, dentro una celebrazione molto sentita. È così anche in USA?

Siamo davvero onorati di essere al concerto del 1º Maggio, per la Festa dei Lavoratori. Da noi si
celebra il Labor Day in settembre, ma è un giorno tutto sommato normale; conosciamo invece
bene l’eco che il 1º Maggio ha nel resto del mondo, come sia entrato stabilmente nei cuori della gente.

 

Al Concertone ritrovate Vinicio Capossela, con il quale avete collaborato nel 2009 e poi
successivamente…

JOEY – Lavorare con Vinicio è come entrare in un altro mondo. Dove ci sono il mistero, tracce palpabili di emozione e feeling: è anche come essere dentro una barchetta in balia delle onde del mare aperto quando c’è una tempesta e tu sei in cerca del cuore del mondo. Amo interagire con lui e lo considero un amico.
JOHN – Con lui c’è davvero grande feeling…come un lungo abbraccio…

 

John Convertino: i suoi nonni arrivarono negli States da Alberobello, in Puglia. Qual è la
sua opinione sulle migrazioni di oggi?

Sono orgoglioso delle mie radici italiane e ricordo come mio padre pensasse spesso a tornare nella terra dei suoi avi. Per quanto concerne il tema immigrazione, io credo che bisognerebbe tendere la mano a chi versa in difficoltà; ma forse sono influenzato dal fatto di vivere a El Paso, e quindi di aver visto e sentito chiaramente le voci degli immigrati e posso assicurarvi che le cose non stanno nel modo in cui Donald Trump va raccontandole in giro. Un Messico migliore significa migliori Stati Uniti: il confine non può essere un recinto; al massimo un limite ideale, che non impedisce di circolare, pensare e crescere. Possibilmente insieme.
 
 
Ennio Morricone, a cui vi ispirate, ha finalmente vinto un Oscar…

È un maestro, straordinario come molte cose che provengono dall’Italia. Unico, misterioso, creativo: può fare quello che vuole, nessun traguardo gli è precluso.