David Fincher: in fondo i registi e gli assassini hanno delle cose in comune

David Fincher è tornato ventiquattro anni dopo Fight Club al Festival di Venezia. Era in concorso con The Killer, il suo 12mo film (su Netflix dal 10 novembre), tratto dall’omonima graphic novel di Alexis Nolent e Luc Jacamon. La sceneggiatura è firmata Andrew Kevin Walker, lo stesso di Seven. Ecco come il regista di Fight Club ha raccontato la sua ultima fatica a Venezia 80.

 

La psiche di chi uccide
Mi piaceva l’idea di esplorare la psiche di qualcuno che si guadagna da vivere uccidendo. Mi piaceva l’idea di James Bond che invece di vestirsi a Savile Road compra pantaloni e magliette in aeroporto, e arreda casa da Home Depot, i grandi magazzini più low coast d’America.La domanda che mi sono fatto, pensando a come non solo a me piacciono i racconti sui killer e le vendette, è stata: perché? Perché in realtà sono argomenti che dovrebbero metterci a disagio. Sono partito da questo disagio. La voce off mi ha aiutato. Anzi è stata il punto di partenza. C’è la voce fuori campo? Allora lo faccio. È un monologo interiore che ci fa entrare nella testa di un killer professionista. Le azioni e le parole mentono. Ma il monologo interiore no. Infatti all’inizio è decisa, sicura. Man mano i mattoncini della sua vita e di quel codice che ne è la colonna vertebrale iniziano a cadere, anche la sua voce interiore si indebolisce. Trema.

 

 

Passare inosservati
Nel graphic novel, il killer è ispirato ad Alain Delon in Frank Costello faccia d’angelo. Il nostro invece non ha niente di cool. Qui non ci sono nightclub o abiti su misura. Niente Borsalino, ma un cappellaccio da pescatore. Quest’uomo fa shopping in aeroporto, ama stare in alberghi mediocri e fa di tutto per non dare nell’occhio. Volevo che sembrasse una persona che passa inosservata per strada. Non è una di quelle persone minacciose identificabili semplicemente dal loro aspetto, lo diventa una volta che entri nella sua mente.

 
Michael Fassbender fondamentale
Senza Michael Fassbender questo film non esisterebbe. Ho iniziato a lavorarci nel 2019. L’ho aspettato. Poi è venuto il Covid. E l’ho aspettato ancora. Perché senza i suoi occhi di ghiaccio che sanno essere così gelidi e fissi, non avrei fatto il film. Solo lui mi garantiva quello che volevo: un volto privo di espressione che preme il grilletto. Senza alcuna emozione. Nient’altro che il vuoto. Questo è il mio Killer. Grazie a Michael Fassbender, l’unico attore al mondo a saper annullare la sua grande vitalità emotiva e intellettuale. Capace anche però di sostenere una scena di lotta senza esclusione di colpi senza stuntman. E con la macchina da presa attaccata a occhi, volto e corpo.

 

 

Killer e regista
In fondo i registi e gli assassini professionisti hanno delle cose in comune. Usiamo anche noi la tecnologia. La posta in gioco è alta. Hai un obiettivo da raggiungere. Che puoi raggiungere o meno.

 

Le differenze con Fight Club
In Fight Club è tutto è più estetizzante. Qui no. le scene di lotta sono estenuanti come quelle, ma qui c’è un mix di realismo e tecnica diversa. Una cosa che ho voluto è il silenzio. Perché anche il silenzio è un modo per sentire i colpi che i personaggi si scambiano. Le scene di lotta di Fight Club erano molto “rumorose”: musica, suoni… Qui non si sente neanche un vocalizzo. E sono molto più intime. Realistiche, appunto… Perché due persone che lottano entrano nello spazio altrui, nell’intimità altrui.

 

 

The Smiths
L’ultima cosa che abbiamo fatto, in post produzione, è stata aggiungere gli Smiths, la loro How soon is now? La band inglese è l’unica, per me, a garantirti un mix perfetto di sarcasmo, ironia, nichilismo. Alla fine, humor che, altra cosa di cui sono convinto, deve andare sempre a braccetto con la violenza, sullo schermo. Sono gli unici a divertirsi con concetti davvero inquietanti.