Endless Nostalghia: i luoghi di Tarkovskij e cinque artisti in absentia

Giorgio Andreotta Calò, Medusa, 2016, serie AC, ed.1AP (3+2AP). Veduta dell’installazione in Endless Nostalghia, Chiesa sommersa di Santa Maria in Vittorino, RI.

Uno spazio espositivo virtuale, che esiste solo nell’esperienza astratta del visitatore. Ma anche uno spazio espositivo reale, abitato dalle sole opere e calcato dai soli artisti che le hanno allestite. È in questa aporia che si colloca Endless Nostalghia, struggente e desiderante mostra in absentia che colloca le opere di cinque artisti nei loghi frequentati da Andrej Tarkovskij per il suo primo film dell’esilio, Nostalghia appunto, e le offre alla fruizione virtuale online di visitatori che percorrono le location in un tour infinito, ogni volta nuovo, governato utilizzando l’atto tecnico dello scorrimento (lo scroll del computer) invece di quello fisico dell’attraversamento. Si tratta di un progetto espositivo di Treti Galaxie (Matteo Mottin e Ramona Ponzini) presentato da 101 Numeri Pari nell’ambito di Toscanaincontemporanea2020, nato sull’onda dell’implosione percettiva imposta a tutti noi durante il primo lockdown per l’Emergenza COVID-19 e spinto a confrontarsi attraverso il film di Tarkovskij con il concetto di nostalgia, ovvero con il sentimento della mancanza dei luoghi, della lontananza dagli spazi, dell’irruzione della memoria come sola traccia percettiva della sensibilità del reale. Treti Galaxie ha chiamato chiamato a raccolta cinque artisti italiani e li ha messi nelle condizioni di dialogare attraverso le proprie opere con i luoghi utilizzati dal maestro russo nel suo primo film dell’esilio. Ne risulta un’esperienza fruitiva ogni volta diversa, perché diverso è il susseguirsi delle immagini che documentano le installazioni, mediandone l’esperienza fruitiva in presenza, offrendole ai visitatori virtuali in un tour teoricamente infinito come un nastro di Möbius. Si va dunque dalle rovine della Chiesa Sommersa di Santa Maria in Vittorino, nei pressi di Cittaducale, dove Giorgio Andreotta Calò ha installato due sue opere (Medusa , 2016, e Pinna Nobilis, 2016-17), a Piazza delle Sorgenti a Bagno Vignoni, nella cui vasca termale Namsal Siedlecki ha collocato il ciclo di sculture in argento Trevis Maponos (2020). Lucia Leuci ha invece realizzato per l’occasione l’opera Sculpture (Piero) fatta dialogare con la Madonna del Parto di Monterchi di Piero Della Francesca, mentre Monia Ben Hamouda e Michele Gabriele hanno rispettivamente installato in Piazza del Campidoglio e in via dei Condotti a Roma le loro opere Blair (2020) e Sitting on the ground, so I will remember it as a nice atmosphere (2020).

 

A Treti Galaxie, ovvero Matteo Mottin e Ramona Ponzini, abbiamo posto alcune domande per guidarci alla scoperta di questa esposizione virtuale che tiene insieme vissuti fortemente attuali e pulsioni che dialogano con la spiritualità dell’assenza. (in apertura Monia Ben Hamouda, Blair, 2020. Veduta dell’installazione in Endless Nostalghia, Piazza del Campidoglio, Roma).

 

Lucia Leuci, Sculpture (Piero), 2017-2020. Veduta dell’installazione in Endless Nostalghia, Museo della Madonna del Parto, Monterchi, AR.

 

Endless Nostalghia è un progetto che nasce dalla scomposizione forzata dell’evento artistico “in presenza” nelle sue componenti: la tensione creativa dell’artista, l’atto installativo/espositivo e l’interazione con il pubblico. Al di là della soluzione pratica offerta dal transito online, come avete gestito a livello teorico questo fattore, sia in fase di ideazione del progetto che nella relazione con gli artisti coinvolti?

Durante il primo lockdown abbiamo assistito a un proliferare quasi sempre sterile di progetti e mostre online. Onestamente in quel periodo non ci sembrava sensato iniziare una nuova produzione in tal senso, e abbiamo iniziato a chiederci cosa fosse una mostra online e cosa potesse significare. Esistono progetti nati per essere fruiti esclusivamente online, come quelli di New Scenario o di Something Must Break, o quelli raccolti dal magazine Ofluxo in Flatland, tutti realizzati prima del 2020 e tutti di altissimo livello. Iniziarne uno durante una pandemia non ci sembrava appropriato. L’occasione per riflettere in maniera profonda e in parte distaccata dalla frenesia primaverile sulla fruizione online ce l’ha data una rassegna su Andrej Tarkovskij proposta dal Cinema Massimo di Torino nei pochi mesi di riapertura. Il progetto Endless Nostalghia nasce così, intendendo accostare il personale sentimento di nostalgia espresso nel penultimo film del regista russo con quello universale provato durante il lockdown per l’Emergenza COVID-19, quando non era consentito uscire di casa, attraversare i confini e visitare i luoghi amati. Abbiamo poi unito le nostre riflessioni al dialogo con Gianluca Gentili. Volevamo in qualche modo “abitare” a posteriori quel sentimento, dargli forma, dargli un ritmo. Gli artisti coinvolti hanno compreso da subito tale necessità, condividendola e attivando con noi, tramite le loro opere, un dialogo che è passato attraverso i luoghi fisici di Nostalghia ed è ritornato a noi e al pubblico in una bidimensione attiva che auspica il totale abbraccio di questo ritmo emozionale.

 

Namsal Siedlecki, Trevis Maponos, 2020. Veduta dell’installazione in Endless Nostalghia, Piazza delle Sorgenti, Bagno Vignoni, SI.

 

La relazione con il cinema di Tarkovskij, da sempre segnato dal dialogo in assenza con i luoghi e le figure su cui si basa, è costruita nel vostro progetto sulla performance dei luoghi/set in cui è stato girato il suo penultimo film, Nostalghia, che è anche il primo realizzato dal Maestro nel suo esilio. In che misura gli artisti coinvolti si sono dimostrati dinamici rispetto alla visione di quegli spazi offerta dal regista russo?

Endless Nostalghia è un progetto nato e sviluppatosi direttamente dallo studio delle ricerche degli artisti. A luglio 2020, dopo aver visto Nostalghia al Cinema Massimo di Torino, ci è venuta voglia di rileggere il bellissimo libro di Tarkovskij “Scolpire il tempo”. Ci siamo resi conto di aver acquistato il libro circa un anno prima al bookshop di Pirelli Hangar Bicocca di Milano, dopo la visita alla mostra personale “Cittàdimilano” che Giorgio Andreotta Calò aveva allestito in quegli spazi. Abbiamo cercato di rileggere la ricerca artistica di Andreotta Calò attraverso quanto scritto da Tarkovskij in “Scolpire il tempo”, e allo stesso tempo abbiamo cercato di guardare al lavoro di Tarkovskij attraverso le opere di Andreotta Calò. Ne abbiamo dedotto che avevano in comune un’attenzione per lo scorrere del tempo in relazione all’elemento acquatico, e una propensione ad osservare i modi in cui la natura, con la sua forza, modifica l’operato dell’essere umano. Non abbiamo potuto fare a meno di immaginarci le opere dell’artista riflesse nelle acque della Chiesa Sommersa di Santa Maria in Vittorino, che ci siamo figurati come una enorme clessidra che segna lo scorrere del suo stesso tempo, ma che non potrà mai essere capovolta. Questa è stata un po’ la chiave del progetto, e da lì abbiamo pensato gli altri dialoghi tra opere e location.

 

In che misura gli aspetti filmici, e non solo eminentemente logistici, del film di Tarkovskij hanno segnato la vostra scelta e l’operato degli artisti coinvolti?

Dopo aver visto il film al cinema, abbiamo deciso di non riguardarlo ma di affidarci solo al nostro personale ricordo, a ciò che di quell’opera avevamo trattenuto. Volevamo sentire la mancanza di quel film. Questo forse è stato anche un modo per lavorare su un tipo di “nostalgia” più gestibile e distaccata rispetto a quella dei lockdown a cui il progetto fa riferimento. Tarkovskij nel suo lavoro tendeva a dare concretezza al ricordo (pensiamo all’accurata ricostruzione della casa della sua infanzia ne Lo Specchio, o a quella della sua casa in Russia nello stesso Nostalghia), non lo trattava come una finzione ma come un ritorno alla realtà sia attraverso fatti reali che reazioni ed emozioni, un ricreare la vita. Il nostro intento non è stato tanto il voler installare le opere nelle location del film, quanto l’inserirle nel nostro desiderio di ritrovare a distanza di tempo la presenza del regista in quegli stessi luoghi. Ci piace pensare di averlo incontrato nelle giornate nuvolose, nella nebbia e nelle improvvise piogge che hanno caratterizzato gran parte del periodo di shooting, in luoghi e in momenti in cui queste particolari condizioni meteo erano oggettivamente improbabili. Dunque, Endeless Nostalghia si articola come ponte tra la realtà fisica – i luoghi – e il pensiero del regista russo. Durante la lavorazione non ci siamo rifatti solo al suo penultimo film, ci sono infatti diversi riferimenti alla sua intera cinematografia. Ad esempio, l’opera di Giorgio Andreotta Calò, Pinna Nobilis, è stata fotografata tenendo in mente il modellino della casa di Sacrificio, mentre Medusa in un paesaggio che ricorda quello della Zona di Stalker. Insieme al fotografo Flavio Pescatori abbiamo studiato le inquadrature di Tarkovskij per Nostalghia di Piazza del Campidoglio e Via dei Condotti, con l’idea di riprodurle il più fedelmente possibile. Sul campo ci siamo accorti di particolari soluzioni adottate da Tarkovskij per le inquadrature, che durante la fase di preparazione teorica ci erano sfuggite. Ad esempio, tutte le pavimentazioni, anche quelle che in teoria dovevano essere al coperto, erano state bagnate nel film al fine di creare dei particolari riflessi e mantenere il leit motiv dell’acqua. In Piazza del Campidoglio abbiamo individuato i punti esatti in cui aveva sistemato la macchina da presa, accorgendoci che aveva impiegato degli speciali obiettivi per ottenere un effetto di schiacciamento tra il soggetto in primo piano e lo sfondo. Una dimostrazione muscolare veicolata delicatamente dall’immagine risultante. Per quanto riguarda Bagno Vignoni, abbiamo documentato le opere cercando di includere nei nostri frame i posti in cui Tarkovskij aveva posizionato la strumentazione di ripresa, con l’idea di creare degli ideali controcampi che includessero la presenza fisica e il lavoro fisico del regista. Per la Madonna del Parto, che è l’unica location non-location in realtà, abbiamo messo le opere di Lucia Leuci in dialogo con l’affresco originale di Piero della Francesca, mentre Tarkovskij nel film aveva collocato una copia dell’affresco nella cripta della chiesa di San Pietro a Tuscania, in provincia di Viterbo. Dunque, ci siamo relazionati con la teca che contiene e protegge la Madonna del Parto al museo di Monterchi trattandola come un’incubatrice e attivando un ideale dialogo con l’opera dell’artista che richiede, per essere esposta, di un display umano, in questo caso la sua stessa creatrice.

 

Monia Ben Hamouda, Blair, 2020. Veduta dell’installazione in Endless Nostalghia, Piazza del Campidoglio, Roma.

 

La possibilità di reiterare in maniera ogni volta diversa la visita è un aspetto interessante del vostro progetto, perché rende il Tempo un concetto insolitamente importante: è interessante che abbiate sostituito nell’esperienza del visitatore l’elemento fondamentale della spazialità (la possibilità di stare nello spazio definito dell’esposizione) con quello in genere più volatile della temporalità (la durata dell’esperienza, della visita).

Una riappropriazione meramente fisica di luoghi e spazi sarebbe forse risultata semplicistica rispetto al trauma collettivo causato dalla pandemia e dalle conseguenze sociali, psicologiche e politiche del lockdown. A noi interessava una cristallizzazione del sentimento. Nel cinema l’identificazione tra spettatore e regista avviene nel momento in cui il primo riesce a entrare nel ritmo, nello scorrere del tempo, del secondo. Per questo abbiamo deciso di ragionare in termini di temporalità piuttosto che di spazialità. L’opera di mediazione che spetta al curatore in questo caso viene attuata dal fruitore stesso che può decidere all’infinito come gestire la propria visione della mostra. Se il principio estetico dell’arte cinematografica consiste nel registrare direttamente il tempo, e una volta impresso su pellicola il tempo può essere conservato teoricamente in eterno, Endless Nostalghia vuole rappresentare un ponte tra il linguaggio filmico e quello dell’arte contemporanea, un’indagine e un esperimento sull’ibridazione dei rispettivi linguaggi.

 

L’ubiquità è un altro fattore interessante del vostro progetto, perché trova nella virtualità dell’esperienza fruitiva l’occasione di contenere in un unico “spazio” i luoghi delle installazioni.

Ti ringraziamo per aver colto questo aspetto. Nella fase di pre-produzione ci siamo chiesti come poter tradurre un’esperienza di fruizione spaziale mancata, che preclude in partenza una visita fisica alle opere e ai luoghi, in un formato fotografico bidimensionale. Ci siamo ispirati ai movimenti di macchina di Tarkovskij in Nostalghia, così come ce li ricordavamo dalla prima visione al cinema. Ci è parso che il regista in ogni scena tendesse a disegnare delle forme triangolari. Per esempio, nella prima parte girata a Bagno Vignoni, abbiamo una carrellata sotto al portico seguita da una carrellata che fiancheggia la vasca, e in acqua dei bagnanti disposti diagonalmente, quasi a fare da ipotenusa a questo triangolo immaginario. Oppure, nella scena della Chiesa Sommersa, la macchina fa solo tre tipi di movimento, zoom avanti e zoom indietro, carrellate a destra e a sinistra, e nell’ultima parte un movimento dall’alto al basso, a seguire la caduta di una piuma bianca dal tetto distrutto. Questo ci ha ricordato gli assi x, y e z del sistema di riferimento cartesiano. In questo schema non possiamo vedere l’asse temporale, essendo noi creature a tre dimensioni. Da questi ragionamenti abbiamo pensato di documentare le opere di ogni artista con 4 set fotografici diversi, 3 eseguiti usando una macchina digitale e 1 con una macchina analogica medio formato con pellicola in bianco e nero. Nella nostra idea, i tre set digitali corrispondevano ai tre assi spaziali del sistema cartesiano, mentre il set in analogico, con le sue perdite di dettaglio date dalla grana della pellicola, a un asse temporale. Durante la fruizione questi assi si confondono e si intersecano, creando una sorta di spazio a 4 dimensioni in cui si può muovere l’attenzione dello spettatore. È un tentativo di materializzare l’infinito creandone l’illusione, la sua immagine, appunto, con una mostra fatta di immagini bidimensionali che racchiudessero un mondo. E citando Tarkovskij, l’immagine è un mondo intero che si riflette in una goccia d’acqua. L’ubiquità di cui parli è data dai bordi sfocati dell’impossibilità mnemonica della fruizione della mostra, da una bidimensionalità cinematografica e pittorica che racchiude tutti i luoghi in un solo luogo, che auspicabilmente attiva nello spettatore un processo di inconscia visione periferica, suggerendo l’esistenza di un mondo al di fuori di quello rappresentato che porta ad uno stato ipnotico di visione sfocata, di rappresentazione di un universo privo di scala proiettato dall’inconscio.

 

Michele Gabriele, Sitting on the ground, so I will remember it as a nice atmosphere, 2020. Veduta dell’installazione in Endless Nostalghia, via dei Condotti, Roma.

 

Potete raccontarci brevemente i motivi per cui avete scelto di lavorare con ognuno di questi cinque artisti?

Sono tutti artisti di cui conosciamo e stimiamo il lavoro, ed è stato abbastanza naturale pensarli in dialogo con i luoghi di Nostalghia. La documentazione viene presentata sul sito seguendo lo stesso ordine delle scene nel film. La fisicità e la tensione generatrice delle opere di Lucia Leuci, che necessitano di un piedistallo umano per essere esposte, ci sono sembrate entrare in perfetto dialogo con l’opera di Piero della Francesca. La sacralità e l’elemento acquatico della vasca termale di Santa Caterina a Bagno Vignoni ci hanno fatto pensare da subito all’opera di Namsal Siedlecki: con Trevis Maponos, infatti, l’artista ha ricreato degli ex-voto gallici ricoperti dell’argento delle monete lanciate nella Fontana di Trevi. Ed è sempre l’acqua, che, in quanto elemento attivo e agente a livello scultoreo, ci ha riportati all’opera di Giorgio Andreotta Calò, naturalmente calata nel paesaggio semisommerso della Chiesa di Santa Maria in Vittorino, come se Medusa e Pinna Nobilis gli appartenessero da sempre. Monia Ben Hamouda è entrata in diretto dialogo con la scena di Domenico ambientata in Piazza del Campidoglio, creando una serie di nuove opere che richiamano alla mente gli amuleti della strega di The Blair Witch Project. Amuleti tuttavia “scarichi”, presentati a rituale avvenuto, raffiguranti qualcosa di cui si scopre l’esistenza troppo tardi, non al momento giusto. Anche Michele Gabriele presenta un’opera di ispirazione cinematografica: una mummia di babbuino, richiamo a La Mummia (1932) di Karl Freund e ai suoi molteplici rifacimenti. Per l’artista, la mummia è l’unico personaggio horror che non ha un’origine “nobile” o colta, ma nasce dall’ignoranza nei confronti della cultura egizia, e in generale rappresenta il simbolo dell’ignoranza nei confronti di culture diverse dalla nostra. A questa si accostano delle sculture astratte ispirate alle pose adottate dai giovani che per la prima volta si avvicinano a una nuova cultura, in particolare al mondo dell’arte. Queste due opere, presentate sia in Piazza del Campidoglio che nell’atrio dell’hotel in cui soggiorna Gorciakov, in via dei Condotti, chiudono il progetto, con l’intenzione di aprirne il finale: in una ipotetica narrazione destinata a ricominciare daccapo, ma in maniera ogni volta diversa, Gorciakov potrebbe decidere di raggiungere Domenico in Piazza del Campidoglio, o inevitabilmente dovrà tornare a Bagno Vignoni, nella vasca, per accendere la candela?

 

Namsal Siedlecki, Trevis Maponos, 2020. Veduta dell’installazione in Endless Nostalghia, Piazza delle Sorgenti, Bagno Vignoni, SI.

 

Le fotografie sono di Flavio Pescatori

 

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