Giulio Ricciarelli: nel Labirinto del silenzio c’è la rimozione della Storia

Il-labirinto-del-silenzioIl labirinto del silenzio (candidato all’Oscar per la Germania, senza entrare nella cinquina finale) è diretto da Giulio Ricciarelli, padre  perugino, madre tedesca, vive in Germania da quando aveva 4 anni ed ha studiato all’Accademia di arte drammatica di Monaco. Il film è ambientato nella Germania tra la fine degli Anni 50 e il 1963. È la storia di un gruppo di giovani pubblici ministero di Francoforte che – sembra incredibile – scoprono quello che i loro padri non hanno mai loro raccontato: i lager, l’Olocausto, il coinvolgimento di un’intera nazione e come molti che in quel passato erano direttamente coinvolti, adesso nella Germania divisa della Guerra Fredda, sono ai vertici della politica e dell’economia. Uno di questi giovani avvocati viene in possesso di alcuni documenti, crede a chi non è mai stato creduto, incontra il Pubblico Ministero Generale Fritz Bauer, uno dei pochi fermo nella decisione che ogni popolo debba prendersi le proprie responsabilità storiche. Bauer, due giovani pubblico ministero e un assistente riusciranno a rompere il silenzio: nel 1963 ci saranno due processi a Francoforte, 211 sopravvissuti e 17 imputati, tutti SS. Per la prima volta i giovani tedeschi sapranno dei lager. Poi, però, calerà di nuovo il silenzio.

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 Una vicenda rimossa

La cosa che mi ha colpito è che questa storia è sconosciuta. Un momento così importante per una nazione intera non è studiato a scuola, non è sui libri di scuola.  Per questo penso fosse giusto raccontare di come pochi uomini e donne, nella Germania del 1958, abbiano deciso di far emergere una scomoda verità. Più che una denuncia di come un intero popolo negasse la propria storia, è il ricordo di quanti si sono opposti all’idea di non prendersi le proprie responsabilità.

 

Fritz Bauer, un eroe civile

Fritz Bauer. È lui il vero protagonista di questa riscoperta. Lui è un dimenticato. È riuscito a portare in tribunale i responsabili di Auschwitz dopo quasi 20 anni, eppure lui e il suo processo sono stati rimossi. La cosa mi ha stupito e affascinato. In Germania l’Olocausto non è più un tabù: ma come ci siamo arrivati e tramite chi, Fritz Bauer e i giovani avvocati che lavorarono con lui,  era ancora dimenticato. Un vero paradosso. Negli Anni 50 i giovani tedeschi non sapevano: eppure erano passati solo 10 anni dalla fine della guerra. Ma i loro genitori glielo nascondevano: nel film il Pubblico Ministero Capo chiede “ma è davvero importante che ogni giovane in Germania debba sapere slabirinto-silenzio-film2-1000x600e suo padre è stato un assassino in divisa nazista?”. C’è voluto Fritz Bauer per cambiare le cose, anche se poi il ’68 e le sue nuove ribellioni contribuirono a far passare in secondo piano la lotta di Bauer contro il tabù del nazismo “collettivo”.

 

La precisione storica

Avevamo la necessità di essere storicamente esatti, di non lasciare nulla al caso. Per questo ci siamo rivolti al  Fritz Bauer Institute a Francoforte. In particolare lo storico Werner Renz ha controllato il copione e anche il film, in vari momenti del montaggio. A un certo punto si vedeva il numero di un ex prigioniero tatuato sul braccio: lui ci ha detto che siccome dicevamo in che periodo lui era stato ad Auschwitz, dovevamo rifare la scena perché allora i numeri tatuati non erano 5 ma 6. Il film è storicamente precisissimo: le uniche libertà ce le siamo prese con il viaggio emozionale del protagonista.  Gli assistenti di Bauer erano in tre. Abbiamo lavorato con due, uno però è morto ancora prima dell’inizio delle riprese. Era così deluso dal sistema giudiziario tedesco che si era dato all’avvocatura privata. L’altro, che all’epoca dei processi di Francoforte era il giovane assistente, era con noi alla prima del film e mi ha ringraziato dicendomi: adesso i miei nipoti sanno cosa ho fatto e mi considerano un eroe.

 

 Le reazioni in Germania

In Germania il film è stato accolto molto bene, sia dal pubblico che dalla critica. Molte persone mi hanno sorpreso: una signora mi ha confessato che in famiglia avevano un armadio del nonno che era morto ma che non aprivano perché non volevano sapere cosa il nonno poteva aver fatto durante la Seconda guerra mondiale. Altri hanno scoperto solo vedendo il film che alcuni loro parenti erano stati tra gli accusati dei processi di Francoforte. Il tema del film è proprio questo: il silenzio. Perché una società, un intero Paese, non parlava del proprio passato così recente? Non lo facevano neanche le vittime: qualcuno mi ha detto che la madre novantenne era stata ad Auschwitz e adesso riusciva a parlarne coi nipoti, ma coi figli aveva sempre taciuto. Non è accaduto solo in Germania: portando il film all’estero, in Sudamerica per esempio, molti mi hanno raccontato di questa incapacità di parlare di quello che è loro successo solo poco tempo fa, dei loro regimi e dei desaparecidos… Ma quello che è accaduto in Germania, per me, non può essere paragonato a null’altro: questo la chiarisco sempre.