Il cinema in un manifesto: addio a Enzo Sciotti

Sul suo profilo Facebook si presentava come “Animalista, Salutista, Naturista, Permissivista, Ecologista, aspirante Artista”. Tanto per mettere le cose in chiaro circa quella modestia che gli era propria. D’altronde a Enzo Sciotti l’aura della leggenda immaginiamo abbia sempre fatto un po’ ridere: merito (o colpa) del suo approccio genuino al disegno, frutto della passione dell’autodidatta, la stessa che lo ha poi indirizzato verso la cartellonistica cinematografica, di cui è stato uno dei massimi esponenti mondiali, con circa 3000 pezzi realizzati in più di trent’anni di carriera. Il tutto sempre seguendo l’istinto del momento, facendosi bastare quei pochi dettagli che i produttori gli fornivano, a volte anche solo il titolo del film. Per Sciotti, insomma, disegnare era tanto un’esigenza quanto un magnifico gioco e così ha approcciato un mestiere che lo ha visto primeggiare soprattutto quando la cartellonistica subiva i colpi del rinnovato approccio “fotografico”. Cui lui rispondeva con l’aerografo e lo stile iperrealista, in un duetto di creazioni con l’altro grande Maestro dell’epoca, Renato Casaro, insieme al quale ha praticamente dominato gli anni Ottanta. L’allenatore nel pallone, Borotalco, Phenomena, Démoni, Velluto blu, Fandango (“un flop in tutto il mondo eccetto che in Italia, deve forse questo specifico successo all’inventiva mia”)… tutti i cult del decennio sono passati attraverso le sue mani e le sue invenzioni. (In apertura L’armata delle tenebre di Sam Raimi).

 

 

Così, proprio mentre i cinema soffrivano la prima grande crisi e chiudevano, le produzioni si votavano al più rassicurante e fiorente mercato della televisione, i suoi manifesti permettevano ancora di pensare in grande, di racchiudere tante emozioni in un solo manifesto, promettendo spesso ciò che il film stesso magari non riusciva nemmeno a mantenere. Lui, Enzo Sciotti, è quindi l’uomo che ha permesso al cinema di mantenersi vivo e in certi casi addirittura di esistere. Dardano Sacchetti ricorda (ancora su FB) che “alcuni cult-movies sono nati da cinque righe mie e dalla fantastica illustrazione che Enzo ne faceva”. Se la locandina attirava l’interesse dei compratori esteri, la pellicola otteneva il via libera, prima “non c’era niente, dopo era facile fare il film” (ancora Sacchetti). Così immaginiamo siano nati i capolavori di Lucio Fulci, con cui Sciotti ha formato un sodalizio irripetibile, che ha incoronato entrambi come i nomi di punta del terrore al giro introduttivo dei già citati anni Ottanta. E poi i lavori per De Laurentiis sui film tratti da Stephen King, Sam Raimi e le varie Case (anche quelle apocrife), i già citati Argento e Bava.

 

 

 

Cosa attirasse dell’horror questo mite e divertito disegnatore è facile a intuirsi: la possibilità di trasfigurare il realismo in una chiave barocca. Anche a vedere le opere più recenti, permane sempre un’atmosfera soffusa, quasi onirica nelle sue creazioni horror, “suggestive sfumature, fulmini, nebbie che “incombono” su ville e altre costruzioni, sagome di personaggi fantastici che scintillano di luci altrettanto irreali”. Il particolare cesellato, si esaspera così nella ricerca dell’effetto grottesco, nel reticolo di capillari che attraversano gli occhi incastonati nel teschio de L’armata delle tenebre, nelle mani che infilzano aghi nella bocca della malcapitata vittima de La Casa 4, nel sangue che sgorga a fiumi dal cadavere incastrato nel parabrezza del camion di Brivido, nella bava che cola dal muso di Cujo… la bravura della creazione sciottiana sta anche nell’aver compreso che, in quel periodo soprattutto, l’horror era pure questione di esagerazioni, anche quando lo si doveva presentare nell’eleganza del bozzetto per i cartelloni. Ma lo stesso vale pure per l’altro genere a cui si è a doppio filo legato, quello della commedia, in cui il gusto grottesco si evidenzia nelle forme “pneumatiche” dei corpi femminili. Se Casaro lavorava sulle gambe lunghissime di Adriano Celentano, Sciotti esibiva malizioso le curve di Gloria Guida e Edwige Fenech nelle vari Liceali e Insegnanti, allestendo quadretti birboni in cui il dettaglio sexy si sublimava nei visi farseschi dei comprimari (Alvaro Vitali soprattutto) e nella plasticità vitalissima della composizione. Una passione, quella per le donne, che fino alla fine lo ha portato nel privato della sua abitazione/studio a continuare a “dipingere soprattutto volti e corpi femminili ad olio, acquerelli e carboncino” (dalla biografia nel volume Il cinema dipinto, a lui dedicato e da cui provengono pure le altre citazioni qui riportate). Opere che poi si potevano ritrovare sui suoi canali social e che immaginiamo abbiano costituito il volano per la seconda giovinezza artistica, quella che in pochi anni lo aveva portato a collaborare con realtà come Midnight Factory, Blue Underground per le cover delle edizioni home video, a realizzare copertine e locandine per artisti musicali, a partecipare all’evento “Weekend of Hell” come super ospite in Germania, lui che “per la sua natura riservata e la sua modestia, pur avendo ricevuto diversi premi, ne ha ritirati solamente alcuni”. La scomparsa, a 76 anni, è giunta così, altrettanto discreta, annunciata da un post Instagram in cui, con il garbo che gli era proprio, il suo testo annuncia che “Io sono volato via e vi tengo tutti nel cuore. Alla prossima vita”.