Leonardo Lidi: Lo zoo di vetro è abitato da una verità alternativa, artificiale ma mai falsa

Un Pierrot, un mimo, una donna cannone, un clown sono la famiglia Wingfield nella versione adattata e diretta da Leonardo Lidi della celebre pièce datata 1944 di Tennessee Williams (portata sul grande schermo nel 1950 da Irving Rapper). Una scelta spiazzante, ma estremamente efficace nell’attualizzare un dramma universale. Amanda vive con i due figli dopo che il marito li ha abbandonati: Tom – il narratore della storia – fa il magazziniere e passa le notti «al cinematografo», mentre Laura, timida, solitaria e zoppa, si prende cura del suo zoo di vetro. La madre vorrebbe trovarle un marito, ma l’arrivo dell’agognato «visitatore» (Jim, un collega di Tom) sconvolge il precario equilibrio della famiglia. Lidi dirige gli ottimi Tindaro Granata, Mariangela Granelli, Anahì Traversi e Mario Pirrello (quest’ultimo sostituito nella ripresa da Lorenzo Bartoli, ndr) scegliendo una chiave antinaturalistica in cui i personaggi sono diventati delle maschere e fa letteralmente esplodere il loro mondo dopo il contatto con l’esterno. Lo abbiamo incontrato.

 

La chiave antinaturalistica è in realtà molto filologica perché le didascalie iniziali di Tennessee Williams sono in tal senso…

Nei miei spettacoli cerco sempre di lasciar guidare l’autore. Anche se sembra che voglia in qualche modo impormi con la regia, non è mai stato questo il mio obiettivo. Dopo anni di lettura di Lo zoo di vetro mi sono soffermato soprattutto sulla presentazione iniziale, dove si dice che il dramma «è sentimentale e non è realistico». Noi siamo quindi indirizzati dall’autore a creare un parallelismo tra la realtà e quello che viene restituito, proponendo una verità alternativa che deve essere assolutamente sincera ma mai vera, mai reale e deve essere artificiale al massimo ma mai finta e falsa. Questo è il motivo per cui lo spettatore può entrare empaticamente nel testo e, spero, nella nostra rappresentazione. Ovviamente dopo ho esplorato anche altre strade interne a Tennessee Williams: si tratta di una storia personale e si sa che il punto della sorella è sempre stato centrale per tutto il suo lavoro. Avevo bisogno di mascherare il dolore incredibile che ha all’interno del suo cuore e anche la cattiveria che riesce in qualche modo a tirare fuori e sono ricorso a una mediazione.

 

Per questo hai trasformato i personaggi in pagliacci?

Tennessee Williams di fatto ci dedica un dolore facendo però passare un periodo piacevole a noi che guardiamo e leggiamo, nel senso che la sua penna non è spigolosa, non è un cazzotto, ma è una carezza, è qualcosa che ci può in qualche modo avvolgere. Lo trovo un atto di grande generosità che possono fare solo i grandi: lui riesce a tirare fuori quello che ha dentro non ponendosi da eroe, tutt’altro, e alla fine questa famiglia fondamentalmente appassiona, sono spettri che si agitano all’interno della sua testa e lui non ne esce in maniera positiva, ma riesce a restituire tutto questo con una qualità altissima, pensando sempre allo spettatore. È quello che in qualche modo fa anche il clown che ci fa ridere, sorridere del proprio dolore, delle proprie martellate, del proprio cadere, delle proprie disgrazie…

 

 

Come hai lavorato sui personaggi?

Ho delineato tutti personaggi nello specifico. Williams parla di se stesso creando una mediazione, dice «Io sono un prestigiatore» (nel mio caso «Io sono un pagliaccio»), uno che non vi mostrerà la realtà cruda per com’è, ma creerà l’illusione. Per questo Tindaro Granata è il Pierrot lunairedi Schoenberg, che canta alla luna. È un’opera per voce femminile e qui entra il tema della sessualità: Tom scappa perché probabilmente non si sente libero di esprimere la propria sessualità. Il Pierrot di Schoenberg è un poeta che malinconicamente canta alla luna il proprio dolore, si immagina assassino, allo stesso modo Tom si porta dietro da anni la colpa di aver abbandonato questa famiglia uccidendola. Il Pierrot di Schoenberg torna a Bergamo, torna alle sue origini, a casa, e anche Tom lo fa raccontando la sua storia, facendoci tornare indietro nel tempo…

 

E gli altri?

Laura è il mimo interpretato da Anahì Traversi che non riesce a rapportarsi con la realtà concreta, ma ha bisogno di creare un mondo immaginario che cerca di far vedere anche agli altri; Amanda è la donna cannone di Mariangela Granelli che cerca di volare ignorando, però, tutto quello che ha, l’affetto dei suoi figli… Jim è il nostro occhio esterno, siamo noi. Non a caso è l’unico non truccato e, recitativamente, cerca spesso di guardarci, di coinvolgerci, di portarci dentro, di farci sorridere con lui. Era fondamentale perché in questo modo esiste anche un occhio esterno che può entrare nella casa. Precedentemente era il clown (il padre che se n’è andato) e, poi, entra come una speranza di un nuovo padre, ancora una volta, destinato al fallimento. Williams ci dice che questa struttura non funziona sempre per tutti allo stesso modo, forse questa famiglia non doveva avere il capofamiglia, forse l’errore è stato quello di ricercarlo a tutti i costi quando si poteva creare una famiglia con quello che c’era, con quello che era rimasto, con questi tre orfani…

 

 

Attualizzi il dramma anche con la scelta musicale. Laura canta una canzone dei New Trolls.

Intanto Quella carezza della sera ci ricorda che stiamo facendo un lavoro nel presente, con una canzone che appartiene al nostro passato, e che ci allaccia subito alla nostra esperienza di vita. Io ho 31 anni però questa è una canzone per me riconoscibile, parla dell’assenza del padre, ma parla anche della «carezza della sera», che è quella che noi stiamo in qualche modo – come dicevo all’inizio – cercando di dedicare. È la mediazione: io ti racconto del mio dolore, dell’essere abbandonati, ma lo faccio con una melodia, che è riconoscibile. La mediazione purtroppo viene spesso riportata a una percezione negativa, invece la cosa altissima di creare uno spettacolo per tanti attraverso qualcosa di riconoscibile, fa sì che nessuno possa tirarsi indietro dalla storia dicendo “non mi riguarda”. Tutti abbiamo avuto una famiglia quindi è una storia diretta che deve essere anche leggera a tratti, magari attraverso una melodia. E poi c’era il riferimento a Schoenberg perché Pierrot canta «l’antico profumo dei tempi delle fiabe» e allora ho cercato di trovare un parallelismo tra qualcosa che non c’è più, ma che è necessario rivivere, forse anche per tirarlo fuori e affrontarlo.

 

Quanto tieni in considerazione lo spettatore quando realizzi uno spettacolo?

Per me è importantissimo lasciare una percentuale al pubblico perché nel mio lavoro l’incontro è la prima cosa. Ragiono sempre con lo spettatore, invito a tutte le prove sempre due o tre persone perché penso si debba sempre avere presente la dedica, cioè la consapevolezza che tutto ciò che facciamo è sì per noi, ma solo nella condizione. Nel caso dello Zoo questo fa sì che il quartetto di attori va in tante direzioni, ognuno nella sua, ma tutto è in qualche modo un intreccio e quindi lo spettatore deve avere la libertà di trarre le proprie conclusioni. Noi lavoriamo per creare degli interrogativi e non per dare delle risposte. Ognuno può decidere che spettacolo ha visto, per me questo è fondamentale e, ribadisco, per me una grossa percentuale deve essere lasciata al pubblico sennò tanto vale restare sul divano di casa.

 

 

A proposito di casa: quella in scena è una casa delle bambole, ma anche l’esterno è fasullo, pieno di polistirolo. Come hai lavorato sulla scenografia?

C’è un mondo molto rigido, quello della casa, che sembra solido con tutta la sua grammatica quadrata e poi c’è un luogo disordinato, l’esterno… I trucioli che cadono tra le mani, che non riesci a possedere, a indirizzare, che non puoi fermare, che si muovono tra platea, sala, palcoscenico, attori, spettatori, volano in aria… rappresentano un limbo temporale. All’inizio Tom non è ancora nel passato, è in questo limbo, poi decide di entrare nel suo passato. Quindi con Nicolas Bovey, lo scenografo, abbiamo parlato di qualcosa di circolare che avvolgesse tutta la casa come un orologio e che fosse disordinato perché mi piace molto che Amanda abbia paura di questo disordine futuro. D’altra parte quando abbandoni la casa la prima volta per cercare la tua indipendenza vai verso per il buio, non sai dove stai andando né sai cosa ti riserverà il futuro…

 

Foto Masiar Pasquali

 

Tournée 2022

25.01.2022
Teatro Stabile dell’Umbria, Todi

29.01.2022
Teatro della Regina, Cattolica

01.02.2022
Teatro Comunale Odeon, Lumezzane

04.02.2022
Teatro Camploy, Verona

02 – 06.02.2022
Teatro Stabile di Bolzano, Bolzano

08.02.2022
Teatro Pasolini, Cervignano

10 – 13.02.2022
Teatro Sociale, Trento

15 – 18.02.2022

Teatro Ivo Chiesa, Genova

20.02.2022
Teatro Sociale, Pinerolo

22 – 27.02.2022
Teatro Vascello, Roma

04 – 06.03.2022
Teatro Ariosto, Reggio Emilia

08.03.2022
Teatro Gioco Vita, Piacenza