L’eroe di tutti i mondi: un ricordo di Akira Toriyama

Al pari dei suoi personaggi capaci di parlare con le divinità come fossero vecchie amiche e di raggiungere livelli di potenza tali da compromettere la stabilità di pianeti e galassie, così la parabola artistica di Akira Toriyama è quella di un autentico artista fuori da ogni scala. Sia per i numeri da record che hanno caratterizzato le vendite dei suoi manga più fortunati, che per i riconoscimenti raccolti e la centralità raggiunta nell’immaginario pop nipponico. Il tutto in virtù di una carriera che, pur articolandosi tra fumetti, trasposizioni animate e videogame, è sostanzialmente riassumibile in due soli titoli: il demenziale Dr. Slump e Arale e il più avventuroso Dragon Ball. Sono queste le uniche due serie lunghe all’interno di una produzione manga che, pur vasta, ha per il resto sempre privilegiato il racconto breve, con storie di poche pagine (da noi pubblicate nelle antologie Toriyama World e Menu à la carte) o, al più, con miniserie raccolte in volumi unici. Un formato ridotto che gli ha permesso di sperimentare soluzioni visive, lavorare sui toni narrativi e affinare le tecniche poi messe a frutto nei due successi maggiori. Tutto in realtà inizia davvero dal molto piccolo, ovvero dalla cittadina di Kiyosu, nell’Honshu, che nel 1955 gli dona i natali. Un luogo circondato dal verde, ma non distante dalle zone industriali dell’area, che ha fornito l’humus per i suoi racconti dove natura e tecnologia giocano sempre un ruolo non secondario. Appassionato di disegno e folgorato dalla visione de La carica dei 101 disneyana, il giovane Akira prova dapprima la strada del lavoro d’ufficio in un’azienda di grafica, salvo decidere poi che il rigido protocollo d’impresa non fa per lui.

 

 

Votatosi definitivamente al fumetto, il nostro riesce infine a ottenere la pubblicazione su Shonen Jump dell’editore Shueisha, rivista che proprio i suoi lavori porteranno a livelli di vendita inauditi negli anni Novanta. Il successo di Dr. Slump e Arale, nel 1979, pone all’attenzione generale un approccio alla narrazione atipico, forte di uno stile di disegno dal tratto morbido e sottile, curato nei dettagli e in cui il nonsense non è propedeutico al semplice effetto comico. Non che le avventure della pestifera robottina non siano divertenti, anzi, ma il punto è che la demenzialità della storia viene abbinata a un sapiente sense of wonder che gli permette di creare dei veri e propri “mondi”, dove la linearità temporale svanisce e la tecnologia più avanzata si unisce a tocchi deliziosamente retrò. Ai mezzi che sembrano usciti da un catalogo della sci-fi anni Cinquanta si uniscono infatti buffe creature, animali antropomorfi e dinosauri che si muovono tranquillamente nelle pianure circostanti. Tutti elementi che, senza soluzione di continuità troveranno forma ancora più compiuta nel successivo e più fortunato Dragon Ball: pescando elementi mitologici dal celebre racconto del “Viaggio in Occidente”, Toriyama attua una rivoluzione copernicana nel genere “shonen” dei combattimenti marziali, affidando l’epica ai suoi personaggi di piccole dimensioni, tanto forti quanto ingenui, in netta controtendenza alla grandeur muscolare dei coevi eroi anni Ottanta, mentre ogni morte può essere facilmente ribaltata dal potere delle sette sfere del Drago.

 

 

L’avventura del piccolo Goku inizia nel 1984 e prosegue per undici anni, diventando non solo un’ottima parodia del classico racconto di arti marziali, che mette in evidenza tutte le esagerazioni del genere, ma anche un prodotto epico e avvincente in sé. Il modello in questo caso viene dai film con Jackie Chan, che a loro volta avevano rovesciato con ironia le “scuole” di Shaw Brothers e Bruce Lee: non è perciò difficile vedere riflessi negli assurdi allenamenti di Goku verso livelli sempre più alti di forza, quelli dello scapestrato protagonista di un qualsiasi Drunken Master. Il debito sarà evidenziato quando uno dei tantissimi personaggi dell’epopea assumerà lo pseudonimo di “Jack Chun”, ma anche l’attore cinese ricambierà la cortesia verso il disegnatore, indossando un costume di Arale in My Lucky Stars – La gang degli svitati. Quello di Dragon Ball diventa così un percorso dei record, che riscrive le coordinate del genere influenzando tanti autori a venire, primo fra tutti l’Eiichiro Oda di One Piece che gli deve tantissimo. In Italia è il primo manga a essere pubblicato con il corretto senso di lettura alla giapponese (da Star Comics), senza le tavole ribaltate per adeguarle agli standard nostrani, mentre le serie animate incollano alle programmazioni di Mediaset generazioni di spettatori, mai sazi delle infinite repliche e prosecuzioni. In Francia, il Festival di Angouleme lo omaggia nel 2013 con il Grand Prix, primo autore giapponese a ottenere un tale riconoscimento. Lui, dal canto suo, resta spiazzato e sorpreso da un successo di cui non capisce particolarmente il merito, e che timidamente cerca di liquidare, promettendo in più occasioni di voler voltare pagina, salvo poi lasciarsi coinvolgere nelle operazioni con cui Toei continua a far vivere nuove avventure a Goku, Vegeta e compagni. Quarant’anni dopo la saga è più viva che mai, mentre il suo creatore esce di scena con la discrezione che gli è propria: parco di informazioni sulla sua persona e sullo stato di salute di cui solo a distanza iniziano a chiarirsi le circostanze, Akira Toriyama scompare infatti l’1 marzo del 2024, e della cosa si ha notizia solo una settimana dopo. Lascia un’eredità incolmabile e la voglia di rileggere tutte le sue storie, dove scherzava con gusto su tecnologia, forza, erotismo e regni ultraterreni, emblema di una fantasia che ha saputo cogliere il meglio di tutti i mondi in cui ha continuato imperterrita a viaggiare.