Marcello Walter Bruno e il limite dello sguardo

Il compito dello studioso è quello di sconvolgere il campo del conosciuto offrendo al proprio uditorio il ribaltamento dell’interpretazione di ogni fenomeno. Creare, dunque, criteri di giudizio anche attraverso la necessaria connessione tra discipline. L’immaginare relazioni, creando congiunzioni insospettabili e inattese, appartiene allo scandalo che il lavoro dello studioso deve affrontare per farsi prezioso e insostituibile. Unire punti distanti di apparenti diversità favorisce i corti circuiti dell’immaginazione estendendo i confini di ogni conoscenza. Questo era il lavoro che Marcello Walter Bruno svolgeva, ormai da anni, nella sua Cosenza, in quella Università fatta di cubi, in cui ha insegnato per tanti anni, amato dai suoi studenti, che spronava sempre verso quella estensione dello sguardo sul cinema e sulla fotografia, diventato il punto fermo delle sue lezioni che non finivano allo scoccare dell’ora, ma proseguivano nel suo studio sempre affollato di allievi, quel suo studio nel quale si chiudeva per mettere insieme i pezzi di una conoscenza che, con la disponibilità di sempre, metteva a disposizione dei suoi studenti. Quegli stessi che continuavano a tenerlo come preciso punto di riferimento anche alla fine del corso di studi e lui, al di là di ogni apparenza e di ogni selettività che utilizzava nella vita, restava sempre disponibile e attento ad ogni richiesta, ad ogni consiglio. Forse tutto questo nasce dall’origine e nasce in quel luogo creato anni prima, con cura e amore, da Maurizio Grande che volle, con grande e caparbia volontà, nell’Ateneo calabrese la nascita del Dipartimento di Arti Musicali e dello Spettacolo.

 

 

 

Qualche settimana fa Marcello Walter Bruno, lo studioso calabrese amato dai suoi studenti e dai suoi colleghi, alle soglie del pensionamento ci ha improvvisamente lasciato. La notizia si è diffusa, tra l’incredulità degli amici e dei colleghi e di chi lo conosceva solo per avere letto i suoi scritti, in un triste e sempre più consapevole tam tam telefonico, tra messaggi sconsolati e l’istintiva sorpresa di tutti. Non resta che rassegnarsi alla perdita, prematura e inattesa, per ricordarlo con la stessa intensità con la quale insegnava ai suoi corsisti e quella con cui produceva pensiero attraverso i suoi scritti ricchi di insolite intuizioni e inedite percezioni, le cui parole ci portavano scoprire i piccoli o grandi mondi paralleli che restano, finché non svelati, i canoni oscuri della comunicazione fotografica e cinematografica soprattutto. In realtà il prof. Marcello Walter Bruno si occupava principalmente di cinema e fotografia, di quest’ultima soprattutto negli ultimi anni.  Il suo lavoro di indagine lo portava a quello che può essere considerato come l’invenzione di un ulteriore estremo limite dello sguardo, quello che il critico e lo studioso sa cogliere in ciò che è segretamente occultato, conservando l’immagine sempre un filo di mistero che spetta proprio all’interprete svelare. Uno studio attento e progressivo che Marcello Walter Bruno aveva praticato per tutta la vita e nel quale eccelleva restituendo frutti di notevole qualità e approfondimenti con i quali, necessariamente, bisognerà fare i conti negli anni a venire. Ma forse il suo lascito migliore è quello di avere saputo consegnare ai suoi studenti e ai suoi ulteriori uditori la complessità del tessuto di cui è fatta la comunicazione per immagini. Un’eredità che continua e che si perpetua ogni volta che ci si domanda cosa abbiamo visto? Come chiedeva lui ai suoi studenti magari solo dopo un minuto di film. è in questo rapporto tra effetto dello sguardo e interpretazione del suo esito che uno studioso come Bruno riusciva ad inserire quell’essenziale principio del dubbio del guardare che diventa(va) strumento indispensabile di accesso ad ogni possibile ipotesi interpretativa. Un lavoro metodologicamente progressivo che non solo si arricchiva di raccordi successivi nella rete di relazioni interdisciplinari, ma si attualizzava in quella temporalità immediata del film nella scoperta delle epifanie della connessione tra il prima e il dopo del racconto in una costante adesione a quella ricerca, mai esausta, del vero e del falso.

 

 

Appassionato studioso di Walter Benjamin, aveva diretto i suoi studi proprio nella direzione dell’insegnamento del filosofo tedesco. Leggendo i suoi scritti sui temi della comunicazione, sulla fotografia in particolare, si coglie la complessità del pensiero di Bruno. Si coglie, soprattutto, il senso profondo di cosa abbia significato la sua ricerca e di quanto questo lavoro ci abbia fatto scoprire i temi dell’evoluzione della comunicazione fotografica. Un mezzo diviso tra ispirazione scaturente dalla classicità e la complessità di quello che Benjamin chiamava l’inconscio ottico quale forma di un linguaggio sociale nel quale è anche visibile il profilo tecnologico che diventa strumento di questa progressione. È in questa visione che il suo lavoro ha approfondito i temi sottesi al lavoro di Man Ray o di artisti più vicini ai nostri giorni come gli italiani Ugo Mulas, Luigi Ghirri e del più sperimentatore di tutti Franco Vaccari. È da queste premesse sulla fotografia come processo storico e atteggiamento filosofico della sua composizione che si dipartono altri suoi approfondimenti che si rivolgono, ad esempio, al dispositivo digitale che azzera, anzi esclude, l’originalità del negativo e del tempo di apparizione del positivo, che appartiene al processo chimico dello sviluppo dell’immagine positiva. Ma questa straordinaria e non semplice indagine sulla fotografia come oggetto di seduzione si arricchisce di ulteriori elementi di studio. Il principio di indeterminazione di Heisenberg costituisce un altro degli aspetti che lo studioso ha approfondito in questi anni. Il tema del coinvolgimento dell’osservatore che per queste ragioni non può essere considerato non neutrale, è divenuto un altro focus attorno al quale Bruno, con la sua conoscenza della storia della fotografia, ha costruito illuminanti ragionamenti sullo svelamento della realtà con l’applicazione di questo essenziale principio che troviamo adattarsi anche al cinema con i necessari correttivi e le fondamentali diversificazioni dovute alla natura del mezzo. Ma oltre al cinema e alla fotografia anche la televisione è stato un suo terreno di studio dedicandoci un libro dall’emblematico titolo Neotelevisione. Ha scritto anche sull’amato Kubrick, regista fotografo e quindi amore cinefilo spontaneo per lo studioso, regista al quale dedicò un volume monografico, Il cinema di Stanley Kubrick, nel quale, con il solito rigore scientifico, viene analizzata l’opera del regista che nella sua complessa raffinata fattura soprattutto per l’alta qualità delle immagini, è diventato quasi naturalmente, un brodo di coltura ulteriore per l’indagine dello studioso. Viveva lo spauracchio del pensionamento che sarebbe arrivato il novembre prossimo, ma continuava ad insegnare ai suoi studenti con la solita disponibilità, continuando ad apprendere anche dai facendo leva sui loro stimoli e le loro osservazioni. Marcello Walter Bruno non ce l’ha fatta a diventare un pensionato, restando per sempre attivo ad assorbire gli stimoli di quella realtà così inafferrabile, il malore che lo ha colto improvvisamente sottraendolo al mondo, ci lascia il ricordo di uno studioso di grande spessore e appassionato del proprio lavoro. Un lavoro che per strade sempre più affascinanti sapeva condurre ad un altro svelamento di quella mutevole realtà che, come lui stesso ci ha insegnato, resta comunque inespressa nel fotogramma.