Mario Autore: In casa con Claude, un classico sulla potenza dell’amore

«Sarà utile immaginare che il testo costituisce l’ultimo atto di un dramma che si recita da trentasei ore, e di cui abbiamo la descrizione dettagliata soltanto per l’ultima ora o poco più». Così indica la nota di René-Daniel Dubois, autore di In casa con Claude che Giuseppe Bucci ha adattato e diretto e che, dopo il debutto dello scorso anno a ridosso del primo lockdown, arriva al Teatro Filodrammatici di Milano all’interno del Festival Lecite/Visioni. storie di amori LGBT. Bucci ha asciugato ulteriormente il testo riducendo da quattro a due i personaggi e rendendo ancora più teso e vibrante il confronto tra due uomini ormai allo stremo: l’ispettore (Ettore Nigro) e Yves (Mario Autore), il giovane marchettaro tossicodipendente che ha confessato fin da subito l’omicidio. Scritto nel 1986 il testo di Dubois è incentrato sull’emarginazione degli omosessuali e Bucci togliendo tutti i riferimenti al Canada e al periodo storico crea uno spettacolo che, inevitabilmente, rimane di stringente attualità, ma che allarga l’orizzonte. Ne abbiamo parlato con Mario Autore (che presto vedremo anche al cinema in I fratelli De Filippo di Sergio Rubini).

 

Un testo, quello di Dubois, che pur essendo scritto nel 1986 rimane attuale.
La nostra versione elimina stenografo e poliziotto che comunque avevano un ruolo marginale nell’opera. L’idea era quella di dare meno naturalismo, realismo alla vicenda per sottolinearne, invece, le componenti più poetiche che in un certo qual modo lo rendono un classico. In Italia è stato molto poco rappresentato, ma è un cult, se ne estraggono spessissimo dei brani di studio dal monologo finale e sicuramente è un testo di cui si conoscono alcuni pezzi piuttosto che l’opera in generale. Avrebbe anche potuto diventare anacronistico, ma è divertente che ci capiti di replicarlo proprio a ridosso del dibattito sul ddl Zan. Lo abbiamo scelto proprio per ribadire la componente di classico, quel conflitto che non avrà mai fine, che non riguarda tanto la discriminazione delle minoranze da un punto di vista sociale, quanto piuttosto la componente psicologica che fa sì che chi appartiene a una minoranza, qualunque essa sia, porta con sé uno stigma “psicologico”, un auto-stigma se vogliamo…

 

 

 

Quello tra Yves e Claude è un amore travolgente.
Questo è l’altro aspetto che ci piaceva sottolineare, ovvero il carattere dirompente dell’amore e di quanto porti scompiglio nelle vite delle persone al di là di qualunque orientamento sessuale o di scelte di vita… Quello che ci ha colpito non è tanto, o non è solo, la questione che comunque rimane attuale della discriminazione in base all’orientamento sessuale, quanto le componenti di Eros e Thanatos, di conflitto insite nelle relazioni d’amore che sono sempre le stesse.

 

Il tuo personaggio passa dalla ritrosia iniziale in cui interviene a monosillabi all’esplosione nel lungo monologo finale dove si mette completamente a nudo.
L’intero spettacolo è, fondamentalmente, una caduta. Si parte con questo personaggio, Yves, molto chiuso, ritroso, scontroso, sbeffeggiante e con atteggiamenti sfacciati nei confronti dell’ispettore di cui non ha nessuna stima. Allo stesso modo l’ispettore all’inizio è convinto, e lo dice ripetutamente, che Yves sia semplicemente un drogato che in un raptus abbia ucciso un cliente. L’aspetto secondo me interessante è che proprio la questione dell’amore viene vissuta dal soggetto stesso di questo amore, cioè dall’assassino, come qualcosa di talmente sconvolgente da dover mettere in discussione tutte le sue coordinate di vita.

 

Peraltro tutto è dichiarato fin dall’inizio, lui è colpevole…
Da un certo punto di vista A casa con Claude è un thriller psicologico, ma che gioca a carte scoperte. Lo spettacolo comincia con una battuta in cui l’ispettore dice già che Yves è l’assassino, si è costituito, quindi non c’è nessun mistero da scoprire se non il perché di questo atto. E poi man mano, quasi fosse una seduta analitica, viene fuori la verità. Abbiamo ridotto anche la durata dello spettacolo per cercare di farlo sembrare davvero una specie di seduta analitica in cui a un certo punto avviene l’insight, l’illuminazione che porta il personaggio a dire la verità nel monologo finale. In questo modo l’ispettore diventa una sorta di analista, lui è sempre presente durante tutta la confessione finale, questo è fondamentale, non ci potrebbe essere confessione se non ci fosse l’orecchio dell’ispettore che ascolta. La presenza dell’ascoltatore diventa sostanziale ed è quella che dà senso al fatto che esista questo monologo al di là delle convenzioni, perché non ci sarebbe motivo per cui Yves si debba aprire così tanto se non nell’idea che la posta in gioco è appunto la potenza dell’amore in questo caso mortifera però, sicuramente, di cambiamento.

 

 

Debutti al cinema interpretando Eduardo De Filippo in I fratelli De Filippo di Sergio Rubini, attualmente in post-produzione. Una bella responsabilità.
È un onore enorme ma anche un grandissimo onere perché è risaputo il campanilismo dei napoletani e l’intoccabilità che hanno certe opere di Eduardo. Qualche anno fece quasi scandalo la regia di Latella su Natale in casa Cupiello, così come la versione televisiva ha avuto estimatori ma anche detrattori e, in ogni caso, se ne è parlato tanto. Da un certo punto di vista sono protetto dal fatto che non esistano materiali audiovisivi legati al periodo di cui parla il film, è un biopic sui tre fratelli, sicuramente non ci sarà la possibilità di fare dei confronti diretti. È stata un’esperienza meravigliosa, particolarissima, era la mia prima esperienza al cinema, mi sono trovato catapultato, un po’ da un giorno all’altro, in un mondo decisamente diverso.

 

Coraggiosa e molto saggia la scelta di Rubini di scritturare attori teatrali.
Non conosco precisamente tutta la vicissitudine produttiva, ma credo che l’idea di scegliere tre attori di teatro fosse qualcosa da lui fortemente voluto. Per quanto mi riguarda sono arrivato al provino perché Rubini cercava un attore che fosse anche un autore, un regista, voleva qualcuno che potesse avere qualcosa di Eduardo al di là dell’aspetto fisico, della somiglianza, che avesse un proprio immaginario. È stata una scelta molto ragionata da parte sua. Abbiamo ovviamente girato delle scene in teatro in cui recitiamo per cui è stato simpatico dover fare il doppio lavoro di recitare in un film in cui sei in scena in teatro, tenendo costantemente il doppio livello dello stare in scena ma dell’essere anche ripreso.

 

Oltre che attore sei regista e musicista. A cosa stai lavorando?
In questo momento sono in prova con Il sogno di Morfeo, uno spettacolo di Antonio Piccolo, scritto e diretto da lui (e anche interpretato). Sono in scena come attore e sto curando le musiche originali dello spettacolo, cosa che è un po’ una mia caratteristica. Quando ho cominciato la scuola di recitazione sono diventato anche assistente del mio insegnante di canto, Paolo Coletta, regista e compositore di musiche di scena teatrale. In seguito, avendo io una formazione pianistica, ho cominciato a seguirlo sia come assistente alla regia, sia come assistente alle musiche. È stato così fino all’anno scorso quando la pandemia ha interrotto la tournée di Madre Coraggio e i suoi figli con Maria Paiato dove ero in scena, ero stato assistente alla regia e suonavo con un piccolo complessino perché parte delle musiche erano dal vivo. Per ora stiamo allestendo Il sogno di Morfeo che sarà in stagione nella prossima stagione.

 

Milano, Teatro Filodrammatici, 23 maggio h. 19.30