Olivia Newton-John, bella e per nulla dannata

Grease (1978)

Si sa, nell’universo dello spettacolo si fa presto a definire tutti «mostri sacri» o «divi fascinosi» quando se ne vanno; Olivia Newton-John (scomparsa l’8 agosto scorso a 73 anni), però, poteva godere ufficialmente di questi status: lo confermano i 4 Grammy vinti e gli innumerevoli dischi d’oro e di platino ricevuti lungo una carriera durata oltre cinquant’anni. Nata nel 1948 a Cambridge, nel Regno Unito – dal professore universitario Brinley Newton-John a da Irene Helen Born, nipote del premio Nobel per la fisica Max Born -, a 5 anni si trasferisce con la famiglia in Australia. Nonostante la levatura accademica dei genitori, la piccola Olivia dichiarò di non aver mai avuto l’indole per le «cose serie»; preferisce dedicarsi, fin dall’infanzia, allo studio del canto e, successivamente, al mondo dello spettacolo. Chissà se il nome di battesimo, scelto in onore di Olivia de Havilland, abbia indirettamente forgiato il talento di questa dolce e biondissima ragazzina dallo sguardo vivace e affamato (come d’altronde era la stessa de Havilland, ovvero amorevole e indifesa – ma solo sullo schermo). A metà anni Sessanta vince un concorso per voci soliste, il premio è un viaggio in Inghilterra: qui incide il suo primo singolo, Till You Say You’ll Be Mine. Pian piano il suo nome si afferma, la gente inizia a riconoscere quella sua voce soave da soprano e, nel 1974, finalmente vince due Grammy Award (Record of the Year e miglior interpretazione vocale femminile pop) con I Honestly Love You, raggiungendo il successo anche oltreoceano. Nello stesso anno, inoltre, partecipa all’Eurovision Song Contest (in rappresentanza del Regno Unito) con Long Live Love.

 

 

Ma è quattro anni dopo, col film Grease, che s’impone definitivamente sulla scena mondiale nelle vesti candide di Sandy Olsson, studentessa innamoratissima del ribelle Danny Zuko (John Travolta). Olivia aveva 29 anni, vide il musical nella trasposizione di Broadway con protagonista Richard Gere e rimase entusiasta della storia. Affrontò il provino per il film – tra le candidate c’era anche Susan Dey, già volto popolare nella serie televisiva La famiglia Partridge –, ma era incerta, pensò addirittura di rifiutare la parte perché reduce da un tremendo insuccesso di sala col suo primo film, Together (1970), oltre a essere convinta di apparire troppo «anziana» per il personaggio; fu John Travolta, stando a quanto dichiarato, che la volle assolutamente come partner. E ci vide lungo. Newton-John si mise a pieno servizio per l’operazione, impegnandosi più che mai nell’incarnare la tenera scolaretta anni Cinquanta tutta golfini e ingenuità (la verginità di Sandra Dee docet), “sporcandosi” l’immagine nel finale per sigillare l’amore verso Danny il bulletto, mentre intonano le note di You’re The One That I Want. Grease si conferma un trionfo planetario, Olivia e John Travolta assurgono al rango di star prestigiose (erano belli e, stranamente, per nulla dannati): quando sono una accanto all’altro sviluppano un’alchimia artistica rara, luminosa, profonda, tanto che qualche anno dopo, nel 1983, tenteranno di rimetterla in piedi con Due come noi, ma si rivelerà un disastro al botteghino; come fu del resto Xanadu (1980), nonostante la presenza istituzionale di Gene Kelly e le ottime vendite della colonna sonora.

 

Xanadu (1980)

 

Effettivamente, la carriera cinematografica di Newton-John è qualcosa di anomalo: ha partecipato a una manciata di film, quasi tutti flop tremendi e stroncati dalla critica – tolto l’imprescindibile Grease, certo. Eppure come attrice era preparata, possedeva garbo e gradevolezza; ma il pubblico l’aveva esclusivamente identificata in quella Sandy sentimentale, un po’ mielosa – capace però di trasformarsi in leonessa cotonata all’occorrenza – e puntualmente era come se rifiutasse i suoi tentativi nel provare a scucirsi di dosso quell’immagine di innocentina. L’ennesima svolta avvenne in ambito musicale, suo spazio principe in cui mieteva spietatamente un successo dietro l’altro; con Physical (1981) si mostra al massimo della forma fisica, in completo da aerobica, e ribalta – con ironica irriverenza – l’icona di Grease in appena 3 minuti e 44 secondi, ottenendo un Grammy come miglior video dell’anno.

 

 

Nel 1992 pubblica Back to Basics: The Essential Collection 1971-1992, terza raccolta dei suoi più grandi successi premiata con un disco d’oro e uno di platino; nello stesso anno, la brutale scoperta di un cancro al seno le blocca i successivi impegni. Comincia qui la sua battaglia con un male subdolo che la porta a una mastectomia e a sedute di chemioterapia. Lei reagisce positivamente, tranquillizza i fan e le persone che le stanno accanto («La paura del cancro mi ha aiutata a dare priorità alla mia vita»; «Per me, il lusso migliore è stare a casa con mia figlia»), non demorde, ha fiducia nella medicina e nelle cure offerte; pratica meditazione, segue un’alimentazione bilanciata; continua a pubblicare album, a fare concerti in tutto il mondo, a comparire in televisione (nel 2010 è guest star di Glee); appare sempre concreta e tenace, anche quando il cancro torna una seconda volta e poi una terza, la più aggressiva, rivelandosi fatale dopo anni spesi per tenersi aggrappata a una vita che le ha regalato gioie e soddisfazioni. E noi le siamo grati – lo saremo sempre – per quel suo meraviglioso dono che ha condiviso con noi, finché le è stato possibile.

Due come noi (1983)