Ripercorrendo le parole di Milan Kundera

Milan Kundera per decenni è stato una presenza/assenza. L’ultima volta che è andato in tv era il 1984, l’anno seguente ha annunciato che non avrebbe più rilasciato un’intervista. Era da poco uscito L’insostenibile leggerezza dell’essere, il romanzo che gli ha dato la fama mondiale e Kundera non trovava pace: «sono in overdose di me stesso». Da allora è stato praticamente impossibile fotografarlo: le immagini che ci sono sono opera della moglie Věra, che era anche la persona che teneva i contatti col mondo al posto suo. Il romanziere è riuscito a cancellarsi dal reale. Vivere attraverso i suoi libri, svanire in essi, diventare il narratore muto di storie già raccontate. Mentre i suoi personaggi inebrianti restano impressi nella memoria, lui è diventato uno scrittore fantasma. Ha messo i sigilli alla propria esistenza. Ariane Chemin (che non è mai riuscita a sentire lo scrittore) ha scritto nome in codice: Elitar I: Sulle tracce di Milan Kundera che è un gran libro, tentativo di biografia e molto altro: dal reportage all’inchiesta:«ho scorto spesso la lunga figura di Milan Kundera aggrappata a quella di Vera, sua moglie da oltre cinquant’anni. Due corpi tanto sconvolgenti quanto la loro vita di tormenti attraverso i secoli e le frontiere, due anime sorelle avvolte l’una all’altra nello stesso destino, come condannate a vivere e morire incatenate». Per ricordare l’autore di Lo scherzo, Il valzer degli addii, Amori ridicoli abbiamo scelto dichiarazioni tratte dal New York Times Magazine del maggio 1985 e Paris Review febbraio 1986.

 

 

 

 Da ragazzino
Quando ero un ragazzino in pantaloni corti sognavo di trovare un miracoloso unguento che mi avrebbe reso invisibile. Poi sono diventato adulto, ho iniziato a scrivere e volevo avere successo. Ora ho successo e vorrei avere davvero quell’unguento per essere invisibile.

 

Intellettuali in fuga
Quando gli intellettuali tedeschi lasciarono il loro paese per l’America negli anni Trenta, erano certi che un giorno sarebbero tornati in Germania. Consideravano il loro soggiorno all’estero temporaneo. Io, invece, non ho nessuna speranza di tornare. Il mio soggiorno in Francia è definitivo e, quindi, non sono un emigrato. La Francia è la mia unica vera patria adesso. Non mi sento sradicato. Per mille anni la Cecoslovacchia ha fatto parte dell’Occidente. Oggi fa parte dell’impero a Est. Mi sentirei molto più sradicato a Praga che a Parigi. Scrivo i miei saggi in francese, ma i miei romanzi in ceco, perché le mie esperienze di vita e la mia immaginazione sono ancorate in Boemia, a Praga.

 

Milan Kundera a Praga nel 1973

 

Tolstoj
Mi piace molto Tolstoj. È molto più moderno di Dostoevskij. Tolstoj fu forse il primo a cogliere il ruolo dell’irrazionale nel comportamento umano. Il ruolo svolto dalla stupidità – ma soprattutto dall’irresponsabilità delle azioni umane guidate da un subconscio – che è incontrollato e incontrollabile.

 

Lo spirito di Praga
Il castello di Kafka e Il buon soldato Sc’vèik di Jaroslav Hasek sono colmi dello spirito di Praga. Uno straordinario senso del reale. Il punto di vista dell’uomo comune. La storia vista dal basso. Una semplicità provocatoria, un genio per l’assurdo abitato da un umorismo con un pessimismo infinito.

 

La poesia
La poesia è un altro di quei valori inattaccabili nella nostra società. Rimasi scioccato quando, nel 1950, il grande poeta comunista francese Paul Éluard approvò pubblicamente l’impiccagione del suo amico, lo scrittore praghese Záviš Kalandra . Quando un grande poeta elogia un’esecuzione, è un colpo che manda in frantumi tutta la nostra immagine del mondo.

 

Il n.7
Tutti i miei romanzi sono varianti di un’architettura basata sul numero sette. Non sto indulgendo in qualche vezzo superstizioso sui numeri magici, né sto facendo un calcolo razionale. Piuttosto, sono spinto da un bisogno profondo, inconscio, incomprensibile, un archetipo formale da cui non posso sottrarmi.

 

La trama
​Nulla è diventato così sospetto, ridicolo, antiquato, banale e insipido in un romanzo come la trama e le sue esagerazioni farsesche. Da Flaubert in poi, i romanzieri hanno cercato di eliminare gli artifici dell’intreccio. E così il romanzo è diventato più noioso della più noiosa delle vite. Ma c’è un altro modo per aggirare l’aspetto sospetto e logoro dell’intreccio, ed è quello di svincolarlo dal requisito della verosimiglianza. Racconti una storia improbabile che sceglie di essere improbabile! È esattamente così che Kafka ha concepito America.

 

Idee
Il disgusto che provo per coloro che riducono un’opera alle sue idee. L’orrore che ho di essere trascinato in quello che è chiamato «dibattito di idee». Lo scoramento che mi suscita l’epoca obnubilata dalle idee, indifferente alle opere. (tratto da L’arte de romanzo, Adelphi Editore).