Ricordando il rigore espressivo e la sincerità di Valentina Pedicini

Dove cadono le ombre

Un talento, una voce intensa e sensibile, in ascolto, potente e discreta. Uno sguardo colmo di rigore espressivo e di rispetto verso le persone coinvolte nei suoi film. Uno scavo negli ambienti, nei luoghi ‘nascosti’ che decideva, con sorprendente nitidezza e tensione visiva, fisica e spirituale, di portare in primo piano. Quel talento, quella voce, quello sguardo non penseranno e non produrranno più altre immagini. Valentina Pedicini se n’è andata venerdì
20 novembre, a Roma, all’età di 42 anni. Era nata a Brindisi il 6 aprile 1978. Con pochi film aveva conquistato la fiducia di critici, selezionatori di festival italiani e internazionali, spettatori curiosi di trovare nel cinema dei percorsi autenticamente sinceri. Un percorso, quello di Pedicini, durato poco più di dieci anni e profondamente legato al documentario, anche se nella sua purtroppo breve filmografia compaiono alcune escursioni nella finzione. Con il documentario si era formata, diplomandosi in regia alla Zelig International School of Documentary Films e esordendo subito dietro la macchina da presa, firmando le sue prime opere: Pater Noster (2008), Mio sovversivo amore (2009), My Marlboro City (2010). Testi con i quali affina il suo sguardo e che precedono l’approdo al primo folgorante lungometraggio, Dal profondo, uscito nel 2013 e risultato di due anni di lavoro in Sardegna nella miniera di carbone di Nuraxi Figus prossima alla chiusura, accanto ai minatori, ma soprattutto all’unica minatrice che conduce la regista alla scoperta di quel mondo. Un film, nelle parole di Pedicini, «nato dall’istinto, dalla curiosità, dalla potenza visiva dei luoghi, dalla volontà di raccontare, come nei miei lavori precedenti, un aspetto del mondo femminile». Pensava a un film di Vittorio De Seta sui minatori, Pedicini, ma voleva che le protagoniste fossero le donne di quell’ambiente, perché «sapevo che c’erano state e che mai nessuno ne aveva raccontato i dolori».Film, e cinema, del reale che nello sguardo della cineasta assume forme scultoree, epiche, tragiche.

 

Questa linea visiva e narrativa, rarefatta e esplosiva, si ri-manifesta in tutta la sua stratificazione in Faith, del 2019. Il colore di magma nero di Dal profondo lascia posto al bianconero, altrettanto palpabile nella sua densità cromatica, scelto per immergersi in un altro set estremo, quello di un monastero nelle Marche, un casale trasformato da un maestro di arti marziali in residenza di una congregazione religiosa d’ispirazione shaolin da lui rigidamente gestita e frequentata, nel corso di vent’anni, da donne e uomini che hanno deciso di seguire gli insegnamenti, le regole, il sadismo di quell’uomo vivendo in totale isolamento. Pedicini (che a un gruppo shaolin, e in particolare a una giovane donna guerriera e mistica, aveva già dedicato Pater Noster) ama i posti chiusi, li penetra, li sfida, ne diventa parte. E mette in gioco se stessa, inabissandosi cinquecento metri sotto terra o seguendo, nei mesi passati nel monastero, le restrizioni della comunità dei monaci cristiani senza le quali non avrebbe potuto filmare. Faith è un film disturbante e spiazzante per l’argomento, e anche straniante (la presenza della musica techno usata dai monaci), volutamente enigmatico sulle storie che hanno condotto lì quelle persone. Pedicini continua così a scrutare un ambiente claustrofobico e chi lo abita. Senza mai giudicare. E tra queste due opere ecco lo sconfinamento nella finzione della regista, ancora nel segno di costrizioni ambientali, fisiche e mentali nel senso che Dove cadono le ombre (2017, mentre dell’anno prima è il cortometraggio Era ieri, che indaga gli abissi e le riemersioni sentimentali di un’adolescente) riporta alla visibilità fatti tragici accaduti in Svizzera in un istituto ora per anziani ma in passato orfanotrofio dove bambini jenisch (popolo nomade europeo di origine germanica) sottratti alle famiglie venivano sottoposti a esperimenti di eugenetica. Tutto si tiene nel cinema di Valentina Pedicini. Un cinema raro sempre nel segno dell’essere umano, dei suoi conflitti, delle sue lotte, talvolta di certe sue scelte che ci possono apparire incomprensibili ma non per questo da escludere, anzi da indagare per essere indelebilmente raccontate.