Sidney Poitier: dignità di un attore e potere di un simbolo

“Ruoli rivoluzionari” e “un talento unico” grazie ai quali “ha incarnato la dignità e la tolleranza, rivelando il potere dei film di avvicinarci”: Barack Obama, il primo presidente afroamericano degli Stati Uniti, ha ricordato così Sidney Poitier, il primo attore afroamericano a vincere l’Oscar come attore protagonista. La morte di Sidney Poitier è per molti aspetti una pietra miliare in un cammino ancora aperto verso l’integrazione che l’America, il suo sistema mediatico e il sistema hollywoodiano stanno attraversando. Allora, per ricordare questo grande attore che è stato anche un simbolo, può essere significativo rileggere oggi la motivazione con la quale trent’anni fa l’American Film Institute consegnò a Sidney Poitier il 20mo Life Achievement Award, il primo attribuito a un attore nero. Era il 1992, più o meno a metà strada tra le Black Panther e il BlackLivesMatter.

 

 

Indovina chi viene a cena (1967) di Stanley Kramer

 

“Sidney Poitier ha dovuto portare un carico sociale più pesante di qualsiasi altro attore nella storia. Nei suoi oltre quaranta film, ha avuto raramente il lusso di ignorare le ampie implicazioni delle azioni dei suoi personaggi. Era sempre giudicato due volte: una per la sua performance e una per il valore di quella performance in relazione al progresso delle relazioni umane. È molto da chiedere a qualunque semplice mortale. Ma d’altronde non c’è niente di “semplice” in Sidney Poitier.
I personaggi di Sidney Poitier – medici, investigatori, avvocati, pistoleri, scienziati, soldati – tendono a essere uomini di controllo, uomini che sottomettono una rabbia vulcanica con la ragione e l’intelletto. Sono disposti a essere ragionevoli sino a un certo punto, ma quando la rabbia che ribolle raggiunge la superficie, fai attenzione. La mascella di Poiter si stringe, quegli straordinari occhi penetranti si accendono di furia e la sua voce si abbassa in un sussurro teso e dolorante. Ma questi personaggi sanno che ci sono ponti da costruire, porte da aprire. Sanno che per sopravvivere devi mantenere la rotta. Quando lo sceriffo bifolco Bill Gillespie (Rod Steiger) in La calda notte dell’ispettore Tibbs (1967), dice quasi ronfando con condiscendenza “Come ti chiamano a Filadelfia, Virgil?”, Poiter, con toni misurati che suggeriscono dinamite a malapena nascosta, risponde “Mi chiamano SIGNOR Tibbs!”. Le sue parole erano più forti di uno sparo, hanno toccato una corda del pubblico che continua a vibrare ancora oggi.
Poiter infonde in ognuno dei suoi ruoli ciò che George Stevens, Jr., chiama la sua “dignità, forza e tranquillo senso di indignazione”. Ha una presenza sullo schermo calda e attraente, una tecnica di recitazione potente, spesso brillante, e un volto che promette di rimanere per tutta la vita un protagonista di bell’aspetto. Questi sono gli attributi che lo hanno reso una star. Ma l’impatto di Sidney Poiter supera di gran lunga la sua capacità di mettere in scena un bello spettacolo. Nella sua incredibile e impareggiabile carriera, ha contribuito a cambiare atteggiamenti consolidati, ha aperto la strada a innumerevoli artisti che una generazione prima non avrebbero avuto possibilità di successo. Ed è stato un faro di eccellenza, speranza e felicità per milioni e milioni di spettatori in tutto il mondo.
Sembra impensabile che una simile forza non abbia avuto prima la possibilità di brillare, ma la verità è che praticamente il successo di Poiter non aveva precedenti. Prima di arrivare sullo schermo nel suo primo lungometraggio, Uomo bianco tu vivrai! (1950), gli attori neri generalmente dovevano accontentarsi di ruoli secondari, di solito in alleggerimento comico. Lui è cresciuto nutrendo grande ammirazione per artisti come Hattie McDaniel, Louise Beavers e Paul Robeson, persone che raramente hanno avuto la possibilità di mostrare l’entità dei loro doni sullo schermo, ma non si è mai lasciato intimidire dalle scarse probabilità di farcela che aveva.
“Io ero diverso”, ha detto Poiter. “Non ho mai chiesto a nessuno: Cosa ne pensi delle mie possibilità? Se l’avessi chiesto, il 99 percento di loro avrebbe detto: ‘Non essere ridicolo.’ Le statistiche c’erano erano statistiche realistiche”. Sidney Poitier, praticamente da solo, ha cambiato quelle statistiche. In pochissimo tempo, Poitier divenne una vera star del cinema. È stato nominato all’Oscar nel 1958 per il ruolo di un evaso ammanettato a un razzista bianco (Tony Curtis) in La parete di fango di Stanley Kramer e ha portato a casa un Oscar come miglior attore per I gigli del campo (1963). Dal 1967 al 1969, Poiter è stato uno dei dieci attori con i migliori risultati al botteghino americano: nel 1968 ha guidato quella lista in cui figuravano celebrità come Paul Newman, John Wayne, Julie Andrews e Clint Eastwood.

 

I gigli del campo (1963) di Ralph Nelson

 

Ha iniziato a dirigere film nel 1972 con Non predicare… spara!, e questa parte della sua carriera ha avuto grande successo: Uptown Saturday Night, Let’s Do It Again, Nessuno ci può fermare… la lista potrebbe continuare.
“Stavo cercando qualcosa per definirmi”, ha detto. “Essere un attore non era così importante per me come lo era essere un certo tipo di persona. Sarebbe stato lo stesso se fossi stato un impiegato delle poste o un commesso di alimentari o altro. Sarei entrato con l’intento di essere il migliore, di essere produttivo e di raggiungere un certo tipo di distinzione. Questo era, ed è, il mio modo di essere”.
Sidney Poitier ha accumulato un elenco così impressionante di risultati – incluso il premio di stasera – che è facile trasformarlo in una sorta di postilla sociale. In realtà, il lavoro sullo schermo di Poiter riguarda sempre la qualità, l’abilità e l’emozione. Si merita il Life Achievement Award non solo perché è stato un pioniere, ma perché è uno dei migliori attori cinematografici americani.”

 

 

Il testo originale sul sito dell’AFI

Il discorso di accettazione di Sidney Poitier per l’AFI Life Achievement Award