Ugo Gregoretti e l’Italia che cambia(va)

Per ricordare Ugo Gregoretti proponiamo estratti da interviste rilasciate a Paese Sera, Cinema e Film, Il Messaggero.

 

La scoperta della fabbrica

Nei Nuovi angeli c’era un quadro dell’Italia che mutava, con tutto il vecchio e col nuovo del boom. Per esempio, c’era un nuovo tipo di operaio, le vacanze di massa , l’abbandono delle campagne, il consumo, il ballo tra maschi in Sicilia ecc. Quando il film è stato ripreso in tv non ho voluto vederlo e poi me ne sono rammaricato, non per paura che fosse datato in quanto specchio di un’epoca ben precisa, ma perché un certo tipo di infarinatura sociologica che io m’ero dato per realizzare quello spaccato mi sembrava datata, e temevo che al film emergesse la datazione di questo sostrato letterario. Mi ero documentato e avevo letto molte cose. Per esempio, per l’operaio, il Volponi del Memoriale, l’Ottieri di Donnarumma all’assalto, ecc. Nacque anzi a lì la mia scoperta e il mio innamoramento della fabbrica come sede di racconto, per cui dopo ho fatto Omicron, ho fatto l’Apollon

 

 

Io e Pasolini

Per me Rogopag fu un film importante proprio per il rapporto di simpatia che si stabilì fra me e Rossellini e fra me e Pasolini. A Pasolini il mio episodio piaceva (inutile dire quanto io amassi La ricotta) mentre ero incazzatissimo con quello di Rossellini e con quello di Godard, che aveva fatto su un’idea carina una delle sue piccole truffe facendo incazzare Bini per certe inadempienze contrattuali. Così Pasolini mi voleva convincere ad assumere assieme a lui un atteggiamento pubblico di presa di distanza dal film nel suo insieme, anzi propose a Bini di far circolare solo mezzo film, il Pag e di mandare Rogo al rogo, mentre poi al rogo doveva andarci lui per i guai legali dorti nel suo episodio. Nel mio episodio c’erano Tognazzi e la Gastoni, appena arrivata dall’Inghilterra e snobbatissima da Tognazzi. Dietro il mio episodio c’era la lettura di Packard, I persuasori occulti, c’era una polemica sul consumismo che credo riuscita.

Omicron e la Fiat

Omicron ormai è stato riabilitato, è dal ’68 che lo è stato, ma quando ormai per me era troppo tardi e di cinema non ne facevo più. Era un film sulla fabbrica, o meglio sulla Fiat, tant’è vero che la sua base documentaria è l’inchiesta sulla Fiat fatta da Giovanni Carrocci su Nuovi Argomenti, persino certi nomi dei personaggi sono stati ripresi di lì, come tutta l’episodica della persecuzione antisindacale. Alcune cose vennero da un incontro a Torino con dei giovani dei Quaderni Rossi, Fofi e Soave. Il film fu girato a Torino in esterni, ma le scene di fabbrica sono state fatte a Forenze, al Nuovo Pignone. Per la verità avevamo portato un po’ ingenuamente il copione a Gino Pestelli, allora capo ufficio stampa della Fiat, il cui figlio Leo aveva scritto molto bene dei Nuovi angeli sulla Stampa. Pestelli mi aveva accolto molto amorevolmente, e mi aveva promesso una risposta di lì a qualche giorno sulla lettura del copione. Ma la risposta fu durissima, alla Fiat non ci avrebbero mai lasciato girare. Io avevo un amico che era diventato consulente dell’Eni, fece una telefonata a Firenze al direttore del Nuovo Pignone, e in cinque minui ottenne che potessimo addirittura occupare il Pignone per giorni e giorni; restammo lì quasi un mese. Salvatori nel film fu bravo come non era mai stato prima né fu più dopo, non era il povero ma bello né il fratello di Rocco, come prima, né il becero di sinistra come dopo. C’era una sequenza di tipo didattico sul meccanismo produzione-consumo – era il marziano Salvatori che riferiva al suo pianeta com’era fatta la Terra – che avevo elaborato da solo e che solo dopo scopersi, quando col ’68 il film venne visto e apprezzato in posti i più diversi dimostrando una sua piccola capacità di trascinazione, quanto fosse quasi marxista senza saperlo! Grazzini aveva liquidato il film accusandomi di essere andato a disseppellire temi come lo sfruttamento nella fabbrica e la lotta di classe che il moderno sindacalismo aveva seppellito per sempre! Nel ’62! Ma anche a sinistra c’erano state molte resistenze, forse perché trattava la fabbrica con toni umoristici.

 

Fuori dal cinema

Io non mi posso collocare nell storia della commedia di costume, perché in qualche modo sono uno che dal cinema è stato cacciato. Le belle famiglie l’ho vissuto ceme il tentativo di risalire una china dolorosa sul versante economico provocata dall’insuccesso di Omicron, che per me è stato un trauma fortissimo. Allora, alquanto ingenuamente, pensai che se avessi potuto dimostrare ai produttori che sapevo fare un film di cassetta, avrei potuto riguadagnare delle posizioni nel cinema per poi fare il tipo di film che mi interessava. Omicron mi è stato talmente rimproverato, in modo forse ingeneroso, che col nuovo insuccesso di Le belle famiglie decisi di non fare più cinema, vivendolo, se vogliamo, in modo poco virile. E poi pesava su di me e in qualche caso pesa ancora la denominazione bastarda di “regista televisivo”. Io dicevo:”a Corbucci nessuno gli dice torna a fare il salumiere, perché a me dovete dire torna in televisione?” Poi invece il ritorno c’è stato, vissuto come una retrocessione in serie B o in serie C.