Luca Guadagnino: il paesaggio americano mi ha formato e ora con Bones and All l’ho interpretato da regista

Luca Guadagnino è tornato alla Mostra del cinema di Venezia con Bones and All, trasposizione dell’omonimo romanzo di Camille DeAngelis del 2015, in cui due adolescenti emarginati (Taylor Russell e Timothée Chalamet) vivono la loro travolgente e tormentata storia d’amore condividendo una condizione che li caratterizza fin dall’infanzia: il bisogno di cibarsi di carne umana. Per Timothée Chalamet si tratta di: «Una storia d’amore straziante, tragica, fortissima. I protagonisti nello specchio dell’amore trovano un modo di crescere, di formarsi, in questo è stata una grande esperienza formativa, come la vita in pandemia, la sensazione di isolamento che tutti noi abbiamo provato. A me come ad altri giovani ci ha rallentato la possibilità di capire chi siamo nel mondo, ci ha in un certo senso sospesi». Ecco come il regista ci accompagna alla scoperta del film.

 

Il primo film americano

Ho ragionato molto a lungo nella mia vita, da quando ero un ragazzino che sognava di fare cinema, sul paesaggio americano, sull’immaginario del cinema americano da cui sono stato profondamente influenzato e formato. Credo che, forse in maniera inconsapevole, ho cercato di rinviare sempre il momento perché la vastità e la complessità degli Stati Uniti d’America meritavano la prospettiva di una persona un po’ più matura. L’occasione si è presentata in maniera imprevista e familiare quando Dave Kajganich ha scritto questo straordinario copione e me lo ha fatto leggere. Un copione a cui stava lavorando al di là di me, ma che per le vie bellissime dell’amicizia è diventato un altro dei nostri modi per parlarci visto che io e Dave siamo amici intimi, molte cose abbiamo fatto insieme e molte altre ne faremo. Quando ho letto la sceneggiatura era inevitabile per me vedere nella storia di questi drifers, di queste identità in cerca di una forma di possibilità nell’impossibile un qualcosa che mi attraeva profondamente. Tutto questo si è compiuto in maniera molto naturale.

 

 

Ambizioni

La mia ambizione cinematografica da un lato è di poter avere il controllo di quello che faccio, il controllo sul meccanismo della messa in opera del mio lavoro e contemporaneamente abbandonarmi al piacere assoluto di lavorare con amici, persone che fanno parte della mia famiglia ormai da tanti anni e che contribuiscono con la loro straordinaria creatività alla realizzazione di un lavoro che è profondamente collettivo. Mi sento di essere soddisfatto perché ho il privilegio di avere questo tipo di pratica del mio mestiere.

 

Amici

È stata straordinaria l’idea di invitare Michael Stuhlbarg a fare il padre pervertito dopo essere stato il padre amorevole in Chiamami con il tuo nome. La recitazione è un gioco, ci siamo divertiti molto. David Gordon Green è un caro amico, che ho conosciuto grazie a Giulia D’Agnolo Vallan che mi chiamò a Torino a far parte della giuria e ci siamo incontrati in quell’occasione. Dovevamo collaborare anche con Suspiria ma non è andata in porto. Qui abbiamo anche un momento in cui i due personaggi suonano la chitarra e la canzone l’ha scritta proprio David.

 

 

 

Riprese

Parlo strettamente dal punto di vista di come abbiamo fatto il film: tutti avevamo la consapevolezza che era in primo luogo un road movie. Ci siamo accampati a Cincinnati, ma poi ci siamo mossi molto. Il production designer Elliott Hostetter ha creato un mondo senza crearlo, è straordinario il modo in cui è riuscito a trovare quest’America in America e non su un palco.

 

Colonna sonora

È la mia prima collaborazione con Trent Reznor e Atticus Ross, queste leggende della musica. Quando mi sono avvicinato a loro, ho trovato la colonna sonora per un viaggio sulla strada. Ho chiesto una musica romantica, le chitarre ma anche le note individuali, il concetto che in America un individuo può farcela. Cercavo una sensazione di distanza dal centro della storia…