Delon+Manchette: folie à deux

Frank Costello faccia d’angelo (1967)  di Jean-Pierre Melville

Alain Delon e il polar. Ci vorrebbero 50 pagine per raccontare il rapporto tra l’attore cineasta e il genere. Il suo amore per il cinema nacque del resto guardando il capostipite del noir francese classico, Grisbì (Becker, 1953), in una sala di Saigon dove era militare in marina, poco prima di Dien Bien Phu. Non potendo passare in rassegna ogni tappa del suo viaggio nel polar, e ricordando comunque la sua magnifica collaborazione con Melville (tre film: Frank Costello faccia d’angelo, ovvero Le samouraï, I senza nome ovvero Le cercle rouge e Notte sulla città ovvero Un flic), mi concentro su due titoli soltanto, tratti da libri di Jean-Patrick Manchette. Tre uomini da abbattere (1980) di Jacques Deray  e Per la pelle di un poliziotto (1981) che segna l’esordio ufficiale alla regia di Delon. Dico ufficiale perché nel 1973 aveva già diretto La mia legge, ispirato al famigerato “affare Dominici”, senza però accreditarsi come regista. La sua terza e ultima regia sarà invece un altro polar, Braccato (1983), per me bellissimo ma non tratto da Manchette. E tuttavia i tre film sono legati tra loro, non solo per l’ovvia presenza del protagonista principale ma perché sono il culmine della collaborazione di Delon autore-attore-produttore con Christopher Frank, uno scrittore inglese naturalizzato francese da un libro del quale, Nuit americaine, Andrzej Zulawski aveva tratto il suo L’importante è amare (1975). Manchette è in quel momento sulla cresta dell’onda. Amato dalla critica letteraria anche se autore di polizieschi, forse per la sua militanza politica (è un comunista folgorato dal situazionismo) che lo porta a torcere la tradizione del noir francese trasformandolo in una cosa che lui stesso definisce neopolar o neonoir. Il punto di vista teorico dell’autore, poi copiato da decine di epigoni anche italiani, è che il crimine, specie se organizzato, non sia una perversione del capitalismo ma una sua conseguenza naturale e inevitabile. Manchette elabora uno stile behaviorista: nessuna introspezione psicologica mai, la natura degli uomini e delle donne (memorabile l’assassina professionista di Fatale) si deduce dalle azioni, e se uno non ne capisce le motivazioni, fatti suoi. Con l’eccezione di un detective privato che si chiama Tarpon protagonista dei romanzi Un mucchio di cadaveri (1973) e Piovono morti (1976), entrambi pubblicati nella Série Noire, in Manchette non esistono personaggi positivi. «È nella natura del noir essere noir» dice lo scrittore in una intervista a suo figlio Doug Headline e al critico letterario esperto di polar François Guérif, «non devono esserci figure positive, tranne forse il detective privato. A me piacciono le storie in cui i personaggi sono presi in trappola, sotto pressione, perdono il controllo e fanno una brutta fine». (In apertura una immagine tratta da Per la pelle di un poliziotto di Alain Delon).

 

Tre uomini da abbattere  (1980) di Jacques Deray

 

Ma come, con uno di destra??

Manchette, fin da giovane, vuole scrivere per il cinema. Alcuni suoi romanzi nascono come soggetti per il grande schermo. Mentre Claude Chabrol realizza Sterminate “Gruppo Zero” (1974) dal suo libro Nada, lo scrittore gli racconta l’idea di Fatale e il regista lo incoraggia a farne immediatamente una sceneggiatura da dargli. Poi il racconto prende una piega diversa e diventa un romanzo. Ma i diritti del più bello dei polar di Manchette, Piccolo blues, ovvero Le petit bleu de la côte d’ouest (1977), vengono acquistati a sorpresa da Alain Delon, che dopo alcuni sonori insuccessi ha deciso di cominciare il nuovo decennio (gli anni 80) imitando il rivale Belmondo. Un polar all’anno, la codificazione di una sorta di unico personaggio ritornante, cascades eseguite senza controfigure, caparbie fanciulle a fianco e imponenti campagne di marketing a rilanciare come marchio di fabbrica queste caratteristiche. Delon non nasconde le sue simpatie politiche di destra, come noto, ma coglie un aspetto affascinante del protagonista del romanzo, Gerfaut: la resilienza. Con una sostanziale differenza: il Gerfaut letterario è un padre di famiglia impiegato servile incastrato in una macchinazione politica, lo vogliono morto senza un perché e lui scopre di avere non solo lo spirito, ma anche le risorse pratiche per reagire contrattaccando con implacabile risolutezza. Il Gerfaut cinematografico è Delon. Quindi non è sposato, campa giocando a poker e vivendo di notte, ha una amante (Dalila Di Lazzaro), sembra avere dimestichezza con inseguimenti e sparatorie che l’omologo su carta deve invece imparare a maneggiare da zero, fino a prenderci gusto. Il Delon individualista e machista e il Gerfaut padre di famiglia umile diventano facce di una medesima medaglia, al centro di una lotta apolitica o prepolitica (benché i cattivi siano rappresentanti del sistema politico-industriale) che ha un solo scopo per entrambi: la sopravvivenza. Opposti che si toccano, combaciano? Sarebbe una lettura semplicistica. Manchette, però, sull’argomento è molto chiaro: «La definizione del noir come genere antifascista, per quanto stravagante, non credo possa essere rigettata. Ma questo spiega anche perché il noir sia facilmente tacciato di fascismo o dia luogo a derive o imitazioni fasciste: fascismo e antifascismo sono le forme complementari con cui la controrivoluzione capitalista incatena al proprio stato il proletariato sconfitto». Dopo il successo di Tre uomini da abbattere, tratto appunto da Piccolo blues, Delon rilancia, sempre insieme a Frank, con Per la pelle di un poliziotto da Piovono morti. Il suo personaggio è il detective privato ex sbirro Choucas mentre Tarpon, il suo socio occulto interpretato da Michel Auclair (che in Tre uomini da abbattere è il formidabile luogotenente del cattivo) ha un ruolo più marginale, benché risolutivo. E ora, traduciamo. Gerfaut in francese significa girifalco, un rapace; Tarpon è un pesce atlantico, Choucas la taccola, un uccello. Ci tenevo sapeste che i personaggi di Manchette hanno nomi di animali…

 

Per la pelle di un poliziotto (1981) di Alain Delon

 

Delon Noir

L’Alain Delon del polar ha un denominatore comune, una specie di imprinting melvilliano che viene poi rilanciato nel 1977 grazie al lavoro con Georges Lautner e Michel Audiard per Morte di una carogna, un film prefetto. Roberto Chiesi, nella sua monografia sull’attore pubblicata nel 2002 per i tipi di Gremese, traccia la linea: «Gerfaut, come i successivi Choucas di Per la pelle di un poliziotto, Martin Terrier di Il bersaglio, Darnay di Braccato, discende dall’individualismo malinconico del Xavier Dépraz di Morte di una carogna che, a sua volta, rappresentava l’ultima filiazione delle figure melvilliane di Jeff e Corey». Dribblando Manchette, Delon trasforma il proprio anti-eroe in qualcosa di diverso, più vicino a certe figure care a José Giovanni (infatti io, nell’equazione, aggiungo il Sennart di Lo zingaro, 1975) ma certo solitario, risoluto ma disilluso. In Tre uomini da abbattere, in un finale memorabile, Gerfaut viene sorpreso e assassinato, al contrario del Gerfaut letterario che torna, mesto ma silenziosamente rabbioso, alla sua vita da umile travet padre di famiglia. Anche nella sconfitta tragica – la stessa di Sennart o del samurai Jeff Costello – c’è nei personaggi dell’attore qualcosa di glorioso, la consapevolezza dell’inevitabile che non è mai una resa: come dice Darnay quando esce di galera all’inizio di Braccato, «Il faut rester calme, et laisser venir». Una filosofia, più che una battuta. In Per la pelle di un poliziotto, però, accade qualcosa di diverso. Mollato Jacques Deray, che pure a Delon aveva regalato grandi successi come Borsalino e Flic Story, l’attore fa da sé e dirige un film più scanzonato del solito, con un finale tragico e violento che recupera l’essenza anche politica di Manchette, ma nella prima parte attenuato da momenti di commedia. Merito anche del personaggio di Anne Parillaud, Charlotte, segretaria cinefila di Choucas (i due, all’epoca, erano coppia nella vita), superficiale solo in apparenza, anzi in più di un’occasione più sveglia del capo e di Tarpon, e comunque totalmente padrona del proprio destino pure nei momenti peggiori. È sua una battuta che ironizza sulla rivalità storica tra Belmondo e Delon. Choucas grida di dolore per una ferita e lei gli dice di non esagerare, che Bebel in un frangente simile avrebbe al massimo fatto una smorfia virile delle sue facendo finta di niente. Per la pelle di un poliziotto ha un buon successo ma non riesce a rallentare la corsa del rivale. Joss il professionista (Le professionel) di Lautner, uscito nella medesima stagione, è campione di incassi e diventa uno dei titoli più popolari di Belmondo in patria, tanto che la musica di Morricone accompagnerà la bara durante i funerali di stato. Delon sembra invece destinato a ruoli più muscolari (il dittico di José Pinheiro Parole de flic e Ne réveillez pas un flic qui dort) ma dovrà attendere Godard con Nouvelle vague (1990) per uscire dalla sua, seppur formidabile, comfort zone.