3/19 di Silvio Soldini e la crepa che illumina

 

 

There is a crack, a crack in everything

That’s how the light gets in

Leonard Cohen, Anthem

 

Camilla Conti (Kasia Smutniak) ha una vita apparentemente perfetta: è un’avvocatessa finanziaria di grido, ha una casa bellissima e un amante che la colma di regali. Una sera, di ritorno da una cena con clienti importanti, dopo una discussione con il socio dello studio in cui lavora che le ha rubato un’idea vincente, scende dal taxi sotto la pioggia battente e viene investita da uno scooter: il ragazzo alla guida risale in sella e fugge, mentre l’altro rimane a terra. Camilla se la cava con una frattura del polso che non le impedisce di raggiungere in studio la sua assistente (Martina De Santis) per chiudere un contratto. Ma il ragazzo a terra è deceduto e la sera dopo Camilla viene convocata al commissariato di polizia per quella che è «solo una formalità». In realtà da questo momento Camilla inizia un viaggio nella città ma soprattutto dentro se stessa, destinato a mettere in discussione il suo mondo, un po’ per senso di colpa («Non ricordo se il semaforo era verde»), un po’ perché l’incidente è la crepa destinata a far entrare la luce nella sua esistenza.

 

 

Il nuovo film di Soldini ha il sapore di una tragedia antica con l’eroina che si batte dapprima per dare un nome al defunto (è un immigrato senza documenti e non è stato identificato e, dice Camilla, «se non ha un nome non lo riconosceranno mai») e poi per dargli degna sepoltura. Una vera e propria discesa agli Inferi a ruoli invertiti per questa novella Euridice: dagli ambienti asettici e isolati dell’alta finanza (lo studio, ma anche la casa in cui vive e l’appartamento in cui incontra l’amante), scende in strada dove avviene l’incidente (luogo su cui torna in un secondo momento alla ricerca di indizi), va all’obitorio (luogo di morte per eccellenza), ma anche alla mensa dei poveri dove il ragazzo è passato e al dormitorio dove ha trascorso una notte, finendo pure in metropolitana per un pedinamento. Sempre più giù, in luoghi per lei inusuali, spinta dall’urgenza di trovare delle risposte. Ad accompagnarla c’è Bruno (Francesco Colella), il direttore dell’obitorio, una sorta di guida in quello che per Camilla è un vero e proprio aldilà. Un mondo altro – in cui si parla una lingua diversa dalla sua e che ha dei tempi che non sono quelli a cui lei è ormai assuefatta – che sembra suggerirle la possibilità di un’isola («Ci sono altre cose», si rende conto, e per due volte la vediamo fermarsi ad osservare dalle finestre di casa sua scene di intimità quotidiana). Anche perché non tutto è perfetto nella sua vita apparentemente appagante: per esempio la donna ha un rapporto pressoché inesistente con Alice (Caterina Forza), la figlia ventenne che ancora vive con lei, spesso ha bisogno di chiudere gli occhi e visualizzare le foglie di un bosco in autunno per rilassarsi e deve sottolineare – lo fa in due occasioni – che il suo lavoro la impegna molto («Ma tu hai capito che lavoro faccio?» chiede alla figlia e a Bruno). L’incidente diventa così opportunità di messa in discussione profonda di se stessa e occasione per fare i conti con il passato e con una tragedia familiare che ha segnato la sua adolescenza e che, fino a questo momento, ha preferito rimuovere.

 

 

Scritto dallo stesso Soldini con Doriana Leondeff, Davide Lantieri e Matteo Cocco, il film mette al centro temi cari al regista milanese come il cambiamento e la rinascita a cui se ne aggiungono altri come «il caso, la memoria, la lontananza dei mondi che ognuno abita» e anche la questione dell’identità. In un’intervista Soldini ha rivelato di aver letto molti libri di Cristina Cattaneo, fondatrice di Labanof, il Laboratorio di antropologia e odontologia forense che si trova all’interno dell’Istituto di Medicina Legale di Città Studi a Milano: «Con gli sceneggiatori abbiamo tratto tantissimo da queste storie di migranti scomparsi in mare e del percorso che bisogna fare per riuscire a fargli ritrovare un’identità». Tutte questioni, quelle affrontate da 3/19, oggi più che mai necessarie.