Togliere spazio al mare, creare una geografia immaginaria mettendo terra laddove c’era acqua, disegnare nuove geometrie costiere. Singapore come A Land Imagined : una terra immaginata in cui si muovono le identità astratte di figure provenienti da ogni angolo dell’Asia, come la sabbia che viene usata nei “land reclamation sites” che viene un po’ dalla Cina, un po’ dal Vietnam, un po’ dalla Malesia… Il film di Yeo Siew Hua che ha vinto il Pardo d’Oro a Locarno 71 è un trip mentale in questi terreni vaghi dell’Asia che più si espande più perde la cognizione di se stessa: non c’è da stupirsi che sia piaciuto alla Giuria di Jia Zhang-ke. Film quieto e potente allo stesso tempo, divaricato tra una visione sociale annichilita, in cui il coro di lavoratori immigrati fa da sfondo alla definizione fantasmatica della città-stato, e l’immersione negli stati di coscienza sovrapporti di due personaggi, che in qualche modo si perdono l’uno nella memoria o nel sogno dell’altro. Mentre infatti un maturo poliziotto indaga sulla scomparsa di un immigrato cinese, ci ritroviamo a slittare dalla sua ricerca alla deriva dell’operaio stesso nel sottobosco che ruota attorno agli immigrati di ogni provenienza, ai loro dormitori e a un cybercafé gestito da una strana ragazza.
Yeo Siew Hua smuove la placida superficie del suo film come fosse un fluido da agitare per osservare il riflesso della realtà attraverso le sue increspature, rifrazioni multiple e sovrapposte per un gioco che narra attraverso la scomposizione degli eventi e dei personaggi in una sorta di tempo sonnambolico, dettato dallo stato di insonnia prolungata che accomuna il poliziotto e l’operaio. Come fossimo in un film di Ildiko Enyedi, il tempo del film segue criteri irrazionalistici, sovrapponendo il prima e il dopo della ricerca, il presente del poliziotto col passato dell’immigrato prima della sua scomparsa, in un insistito riflusso coscienziale che ovviamente lavora sull’identificazione tra le due figure. L’istintualità del film è netta, spalmata sulla coscienza di un altrove immaginario che è l’unico specchio in cui è possibile riflettere l’identità reale di un popolo evaporato nella ricerca della felicità. Yeo Siew Hua lavora sulla fuga in avanti di un immaginario che incide la modernità della coscienza (pan)asiatica nella forzatura del suo futuro, lasciando che il suo cinema risuoni quasi come il miglior Yu Likwai (vengono in mente i suoi All Tomorrow’s Party e Plastic City), per quanto poi ci sia una malinconia introflessa che incede in sequenze fluide e ritmiche. A Land Imagined è un film che parte dall’impasto di acqua e terra di una città che germina sulla sua liquidità e strappa il suo spazio all’orizzonte marino, e arriva alla scomparsa reciproca di due figure che si cercano a vicenda e si trovano nell’altrove di un luogo immaginaria in cui la felicità è pura astrazione. Un film a suo modo orfico e lustrale, in cui la terra e il mare si sognano a vicenda…