Al Far East gli innocenti e i colpevoli del malese Victim(s) di Layla Ji

Il punto di partenza è l’omicidio di uno studente, Gang Zi, da parte del compagno Chen, con il conseguente scandalo che coinvolge tutta l’opinione pubblica, sconvolta dalla ferocia dell’atto e pronta a linciare il colpevole. La posizione di quest’ultimo è peraltro aggravata dal fatto di provenire da una famiglia ricca: il classico rampollo snob senza rispetto per la vita altrui, insomma, e che per questo non poteva che scontrarsi con quel compagno di bassa estrazione sociale. Poi lo svelamento del “dietro le quinte”, di cosa è accaduto davvero, di una realtà scolastica dove Gang Zi era il “bullo” e Chen la sua consueta vittima. Un ribaltamento che non vuole ossequiare le più classiche dinamiche del colpo di scena a tutti i costi, quanto mostrare la stratificazione di una realtà dove la violenza si dimostra pervasiva a ogni livello. Ispirandosi a fatti realmente accaduti, la regista cinese Layla Ji realizza con Victim(s), presentato in anteprima streaming mondiale al Far East Film Festival 2020, un affresco di grande potenza espressiva. Un’opera che segue dolorosamente le vite di più personaggi lungo due piani temporali, il presente in cui Chen è imprigionato in attesa di processo, e il passato in cui si rivelano le dinamiche reali. La prospettiva è a largo raggio e serve a sciogliere i manicheismi istillati da una società che ha introiettato la violenza ma cerca sempre capri espiatori per esemplificarla. Il bullismo di Gang Zi nasce infatti tanto da una famiglia dominata da un patrigno violento, quanto da una “credibilità” sociale che lo spinge a ostentare un machismo violento per nascondere la propria omosessualità. Allo stesso tempo, Chen è la vittima prediletta, ma anche un vile che non esiterà a mettere nei guai gli altri pur di salvarsi dall’ennesima vessazione.

 

 

Forse per evitare le problematicità più spinose del tema, la regista ha scelto di non girare il film in Cina, spostando l’azione in Malesia e evitando di coinvolgere il livello puramente “istituzionale” della realtà: la storia preferisce infatti concentrarsi sugli studenti e le famiglie, lasciando fuori governi e autorità. Cionondimeno, la logica dei cerchi concentrici che rende la violenza così pervasiva finisce comunque per abbracciare il livello “esterno” attraverso la spinta pressante dei media, che raccontano le vicende con tono predatorio, in cerca di un colpevole a tutti i costi. L’esposizione mediatica diventa così metafora di quello status quo disposto a tutto pur di preservare una narrazione unidirezionale della realtà, dove i ruoli siano sempre ben definiti. Il che contestualizza la spinta dei vari ragazzi a voltare sempre la testa di fronte alle vessazioni che coinvolgono i compagni perché non è cosa che in quel momento li riguardi. La vittima di oggi diventa lo spettatore di domani che può così tirare un sospiro di sollievo perché stavolta non tocca a lui, lasciando dietro di sé una forte amarezza per un meccanismo che ha il sapore dell’inevitabilità e che si nutre dell’indifferenza di una realtà dove la verità non ha reale importanza. In questo senso il ribaltamento già evidenziato diventa significativo in quanto ossequia lo slittamento fra le stereotipie e la realtà che invece celano: si va dalla madre affranta che dovrà invece confrontarsi con la reale natura del figlio ucciso, alla studentessa dalla dubbia reputazione che invece rivelerà un passato traumatico alle spalle. Il tutto è raccontato con una equidistanza capace di mostrare empatia per il dolore, ammantando però la narrazione di un tono cupo e oppressivo che dipinge una realtà a tinte fosche dove nessuno è innocente e troppi sono colpevoli. Un film che per questo fa male ma che risulta anche incredibilmente sincero.

 

Guarda il film (fino al 4 luglio):

https://www.mymovies.it/live/feff/movie/victims/