Alla (ri)scoperta dell’enigmatica Alida Valli

Scriveva tanto, tantissimo. Immaginate una vita di lettere, bigliettini, telegrammi, diari di bambina/ragazzina/adulta conservati. Aveva cominciato per combattere la solitudine. Il documentario sull’attrice più enigmatica del cinema italiano (e quindi la più divina, in senso hollywoodiano) parte da qui. Il nipote e la voce di Giovanna Mezzogiorno prendono le parole scritte e conservate per una vita e ci fanno entrare nella storia di una bambina timida diventata la prima teen-idol (diremmo oggi) del cinema italiano. Star a 16 anni, al secondo film: Il feroce Saladino (1937). Che poi ha saputo diventare molto altro. Essere no, perché lei non è cambiata mai…Il documentario di Mimmo Verdesca si intitola Alida. Il nome proprio di Alida Maria Altenburger von Marckenstein und Frauenberg. Che a Hollywood diventerà solo Valli. Ci arrivò ben prima di Sophia Loren e delle altre. Dieci anni prima, quasi. Cercavano una nuova Garbo. E l’enigmatica Alida, detta Kitty ma soprattutto la Sfinge, sembrava perfetta… Al Festival di Cannes 2020, Alida è stato tra i pochi documentari di Cannes Classic. Perché lei non ha mai smesso di vivere, lavorare, recitare, dice il direttore del festival Thierry Fremaux. Ha anche vinto una Palma d’Oro, indossando la vestaglia (pre Sophia Loren in Una giornata particolare) di una donna che pensa di riconoscere in un barbone il marito disperso in guerra (titolo: L’inverno ti farà tornare di Henri Colpi). In apertura un’immagine tratta da Il caso Paradine.

 

Senso (1954)

 

Era già alla sua terza vita. Figlia dell’alta borghesia confinante con l’aristocrazia, bambina silenziosa perché cresciuta nel silenzio a Pola, in Istria. E poi ragazzina a Como. Aspirante attrice a Roma (a 15 anni). Star per caso e suo malgrado (“Cosa vuol dire essere una diva? E ancora di più una divina? Se me o dici ti rispondo anch’io”) del cinema fascista dei Telefoni bianchi. Quel Valli trovato sulla guida telefonica perché il cognome originale (i cognomi, anzi) era impronunciabile…Pola, Como, Roma, Hollywood, Città del Messico, Roma, Parigi, la casa al mare di Fregene. I fan bambini e Hollywood che la vuole nuova Greta Garbo. Alfred Hitchcock (Il caso Paradine) e Orson Welles (Il terzo uomo), ma lei l’inglese lo sa nel senso che impara a memoria le battute e basta. Entra nella storia del cinema, ma paga la penale per non essere una “schiava pagata” degli studios. Torna in Italia e gira Senso con Visconti e Il grido con Antonioni: diversamente carnalissima, lei che si definiva “non bella ma fotogenica.”. Quella che farà innamorare di lei, Bernardo Bertolucci, Dario Argento, Giuseppe Bertolucci, Marco Tullio Giordana, Roberto Benigni (era suo figlio in Berlinguer ti voglio bene). Sarà con loro che tornerà al cinema, dopo essersi rifugiata nel teatro e in tv, e ci resterà fino alla morte, nel 2006. Dopo 101 film dal 1936 al 2002. Il 31 maggio sono 100 anni dalla nascita. Speriamo che la RAI o qualche tv faccia qualcosa per ricordarla. A lei forse non sarebbe piaciuto. O forse sì.
Nel documentario è tanti aggettivi e tanti sostantivi. Come se ognuno dei testimoni avesse incrociato una persona diversa: coraggiosa (Bertolucci), folle fragile romantica (Benigni), curiosa (Argento), brusca e dolce (Marco Tullio Giardana). La più bella (Vanessa Redgrave)… Poteva cambiare età da un film all’altro, da una scena all’altra. I segni della vita stampati e cancellati dal viso illuminato dalla cinepresa, quasi a comando. Lei si definisce indisciplinata, scontrosa. Fotogenica. Le piace quando la chiamano Sfinge. “La fotogenia è bellezza ma soprattutto è lo sguardo che arriva allo spettatore e lo cattura”…