Artekino Festival – Oltre il terminal, THF: Central Airport di Karim Aïnouz

L’aeroporto di Tempelhof, a Berlino, è un luogo dalla doppia anima: all’esterno è abitato vivacemente dagli abitanti della città che utilizzano la grande pista in cemento e il parco attorno a essa per attività culturali, sportive o di semplice ritrovo. Dentro la vecchia struttura, invece, ci sono tantissimi “passeggeri” che continuano a transitare. Il THF infatti resta ancora oggi un luogo di arrivi e partenze essendo usato come centro di accoglienza per rifugiati. Tra loro, lo studente siriano Ibrahim, 18 anni, e il fisioterapista iracheno Qutaiba cercano di vincere la nostalgia, divisi tra la speranza di ricevere l’asilo e il timore di essere respinti. Per un anno intero, le cineprese di Karim Aïnouz scrutano, spiano, catturano la realtà presente nel micromondo di una delle bolle più affascinanti e iconiche della Berlino contemporanea. Proprio come l’organismo che indaga, anche THF: Central Airport è un film dalla doppia espressione. Da una parte si tratta di un documentario di osservazione, rigido e rigoroso come la tendenza più contemporanea dimostra di apprezzare. Manca forse l’aspetto più teorico e astratto dei lavori di D’Anolfi e Parenti (Il castello su tutti, ovviamente) e una parentesi più profonda nell’analizzare e scovare la componente più umana del lavoro che governa la struttura (come invece Wiseman dimostra da tempo di saper egregiamente affrontare). Dall’altra una ricerca estetica e tematica che provi ad andare oltre alle apparenze.

 

 

Aïnouz resta quindi fedele al suo sguardo più geometrico e continua a dimostrarsi interessato (se non addirittura ossessionato) dalle immagini. Forte della sua esperienza come videoartista e non solo come filmmaker, il regista insiste nel cercare un ossimoro tematico che poco alla volta riaffiora in tutta la sua potenza. Il film così non si accontenta solo di svelare quanto si celi dietro le mura dell’aeroporto ma prova anche a suggerire un rovesciamento storico che diventa il simbolo di una città che, volente o nolente, con questa operazione di revisionismo ha dovuto fare i conti da almeno sessant’anni a questa parte. Così, le sequenze più riuscite, contemplative e di conseguenza emozionanti del film sono quelle in cui la topografia della struttura, di stampo profondamente nazista, dialoga con chi quella Storia ora la abita. La crisi dei migranti e l’impegno inenarrabile di chi combatte tutti i giorni per lavorare al meglio sulla loro accoglienza coabitano in un luogo concepito per il medesimo ruolo (veicolare gli spostamenti) ma con obiettivi ovviamente opposti. Per fortuna.

 

 

 

Il film è visibile dopo una semplice registrazione su www.artekinofestival.com