Artekino Festival – Sébastien Tellier: Many Lives di François Valenza, un artista fuori da tutti gli schemi

Comincia con un corpo steso su un tavolo e illuminato da un raggio verde come se dovesse essere sottoposto a una TAC. L’intento di Sébastien Tellier: Many Lives di François Valenza è dichiarato fin dalla prima immagine: scannerizzare un personaggio ingombrante e scomodo come quello di Tellier, definito a seconda delle situazioni «artista maledetto, loser fiammeggiante (“flamboyant”), dandy clochard», un «radicale la cui radicalità è rivolta alle persone» e che per sua stessa definizione fa del «Crazy Pop», ma che sembra anche l’ultimo chansonnier anarchico («Léo Férré al XXI secolo»), con un côté da stand-up comedian impressionante, capace di mettere insieme «il sublime e lo squallido». Cantautore, musicista e polistrumentista, Tellier è prima di tutto un uomo contro ogni tipo di costrizione (non a caso a ogni disco cambia totalmente genere e tipo di musica, ma anche lo studio in cui registra), difficilmente etichettabile. Nei momenti di sconforto pensa di fare musica underground che nessuno ascolta, ma in realtà è riuscito a creare canzoni per cui verrà ricordato per sempre (La ritournelle), presenti in pubblicità o in film pluripremiati (Fantino è in Lost in Translation di Sofia Coppola).

 

 

La struttura del documentario non è particolarmente originale, ma è funzionale a mettere in evidenza un personaggio da sempre tra i più innovativi della scena musicale. Attraverso interviste a produttori (Marc Teissier du Cros, collaboratore storico di Tellier e fondatore della Record Makers, Jean-Michel Jarre), ai pionieri della musica elettronica francese, quella che ha fatto parlare di un vero e proprio “French Touch” (Rob, Nicolas Godin degli Air, Laurent Bracowitz e Christian Mazzalai dei Phoenix, Philippe Zdar dei Cassius, scomparso lo scorso anno a cui il film è dedicato), a cantautori (Christophe), artisti (Xavier Veilhan) e registi (Benoît Delépine e Gustave Kervern), viene riproposta la carriera di Tellier, dai primi passi nel mondo della musica fino al 2014. Cinque tappe per ricostruire un percorso decisamente atipico, incentrato sui singoli album (ognuno focalizzato su un concetto) e sui personaggi a cui, di volta in volta, l’artista ha dato vita.  Si parte con L’incroyable vérité (1999), in cui il tema è la famiglia. Tellier vive con l’amico regista Mathieu Tonetti e, in un filmato d’archivio, racconta di aver passato quattro anni chiuso in un appartamento parigino con la televisione sempre accesa e l’audio spento ad ascoltare musica, guardare film, drogarsi e bere. Realizza in casa dei demo, in maniera del tutto artigianale, che presenta alla casa discografica degli Air e nel giro di sei mesi è catapultato a Houston per fare l’apertura alla tournée americana della band francese. Nel 2004 è la volta dell’album Politics, dedicato alla politica, con cui Tellier si presenta come un vero e proprio arringatore di folle in cui affronta l’immigrazione, la situazione dell’Africa, quella dei nativi americani, mescolando discorsi di Charles de Gaulle, Valery Giscard d’Estaing e dando vita a una vera e propria campagna mediatica in cui espone le sue strampalate teorie. 

 

 

La terza tappa è rappresentata da Sexuality (2008, prodotto da Guy-Manuel de Homem-Christo dei Daft Punk) in cui affronta il sesso, in quel momento vera e propria ossessione per lui, con la radicalità che lo contraddistingue, mentre la quarta My God is Blue affronta la religione e per l’occasione Tellier si trasforma in un guru fondando addirittura una sorta di setta (Alliance Bleue), con tanto di fedeli a cui si rivolge. Il percorso si chiude con L’aventura (2014), album in cui Tellier reinventa la sua infanzia. Sébastien Tellier: Many Lives è inframmezzato da spezzoni di partecipazioni a trasmissioni televisive (in particolare le due partecipazioni a On n’est pas couché, nel 2008 e nel 2012), in cui Tellier, dietro agli immancabili occhiali scuri, risponde a tono alle domande di Laurent Ruquier che lo tratta con supponenza, ma anche dalle sequenze tratte da Nonfilm, il mediometraggio di Quentin Dupieux (Mr. Oizo ha prodotto alcuni album di Tellier) di cui è uno dei protagonisti, oltre naturalmente a frammenti di concerti dal vivo, fino alla sfilata di Chanel o all’installazione Val de Marne di Xavier Veilhan dove, in entrambe le occasioni, suona dal vivo. C’è anche la partecipazione all’Eurovision 2008 in cui Tellier rappresenta la Francia e si sente per questo «in missione governativa». Il film si chiude sul corpo disteso di Sébastien Tellier, infuso della luce al laser e con un occhio in bocca, e poi sulla sua ombra che balla e dice: «Sono solo dei tentativi. Nessuno dei dischi che ho pubblicato è da intendersi come una conclusione. E vale lo stesso per i miei personaggi. Sono dei tentativi. Perché faccio il buffone? Per dimostrare il mio disprezzo per le cose serie. Detesto le persone serie. Detesto le istituzioni e tutto ciò che si prende sul serio». E ancora: «La realtà deve per forza essere moltiplicata per essere compresa, perché altrimenti sono solo dei segnali deboli. E io voglio dei segnali forti». Dare segnali forti è quello che fa dall’inizio della sua carriera. E che, fortunatamente, continua a fare.

 

 

 

 

 

 

Il film è visibile dopo una semplice registrazione su www.artekinofestival.com