Azione – non azione: Bullet Train di David Leitch

Stazione di Tōkyō, Giappone. Ladybug (Brad Pitt) è un killer di professione in una fase di ripensamento della vita che accetta un lavoro apparentemente semplice: rubare una valigetta su uno Shinkansen diretto a Ōsaka. Ma la valigetta è nelle mani di altri due killer di professione, che Ladybug conosce e ha già incontrato durante una missione in Sud Africa: l’elegante Tangerine (Aaron Taylor-Johnson) e il gemello Lemon (Bryan Tyree Hanry), grande conoscitore del Trenino Thomas, devono infatti riportarla al legittimo proprietario, il temuto boss conosciuto come la Morte Bianca, scortandone il figlio, appena salvato da un rapimento. Ladybug, Tangerine e Lemon non sono però gli unici killer presenti sul cosiddetto “treno proiettile”. C’è anche un padre, Kimura Yuichi, che vuole vendicare il figlio Wataru, in fin di vita dopo una caduta tutt’altro che accidentale, causata dalla perfidia di una ragazzina (Oji, Il Principe) che su quel treno sta viaggiando in prima classe; un letale assassino che si serve solo di veleno di serpente per le sue missioni, e un killer messicano che lo cerca per vendicarsi dello sterminio della sposa e degli invitati alle nozze. Il film è la trasposizione cinematografica del romanzo I sette killer dello Shinkansen di Isaka Kōtarō, che del romanzo mantiene la trama, per circa un 80%, i personaggi e le relative caratterizzazioni.

 

 

Numerose sono le differenze (nel libro il treno è diretto nella meno globalmente famosa Morioka, Tangerine/Mikan è un avido lettore di letteratura, i legami tra i personaggi, in particolare nella famiglia Kimura, sono maggiormente stratificati), la più vistosa delle quali è, oltre al finale, lo sviluppo di Oji, Il Principe: se nel romanzo risulta il vero elemento anomalo nel suo inquietante perseguire e compiere il male per il fine del male stesso, nonché misurato contrappunto all’ironia che avvolge le dinamiche tra i killer, sul grande schermo rimane un personaggio piatto e reincanalato in motivazioni tutto sommato banali, e banalizzanti. Il cast però funziona: Brad Pitt su tutti, nella sua interpretazione di Ladybug, a suo dire il killer più sfortunato del mondo, ma anche Aaron Taylor-Johnson e Bryan Tyree Henry nella parte dei gemelli Tangerine e Lemon risultano credibili, così come Andrew Koji (Kimura Yuichi) e Hiroyuki Sanada (L’Anziano Kimura). Sprecato Michael Shannon nei panni della Morte Bianca. Non pervenuta Sandra Bullock come Maria Beetle. Ci ha provato Zak Olkevicz a riscrivere per il cinema quella perla di narrativa action” che è il libro di Kōtarō, e, in parte, ci è anche riuscito. Laddove l’”azione” è stata mantenuta a livello di dialoghi e intreccio, il film funziona. Cade invece sulle scene più propriamente action. Il romanzo è un meccanismo narrativo perfetto, commistione di atmosfere pulp e mistery, intriso di umorismo, la cui lettura scorre alla velocità di un vero Shinkansen. Il film rallenta proprio dove tenta di accelerare, quando David Leitch ci vuole ricordare a tutti i costi di aver girato Deadpool 2 e Atomica bionda, e deraglia sul finale.