Bellezza interiore: a Cannes77 The Substance, il body horror di Coralie Fargeat

Corpo a corpo, in senso letterale: The Substance di Coralie Fargeat squassa il Concorso di Cannes77 riattivando l’enzima del body horror anni ’80, ma aggiornandolo all’argomentazione sociale attuale. I primi turbamenti adolescenziali dell’horror di ieri sono superati a destra dai primi turbamenti della senescenza, del decadimento fisico, della rottamazione prematura. E se negli anni ’50 l’ultracorpo si sostituiva alla coscienza sociale e all’umanità dell’individuo, nel XXI Secolo di Coralie Fargeat il terrore scaturisce dallo specchio che mostra rughe e smagliature della pelle. Sarebbe bello poter dare in permuta il proprio corpo e sostituirlo con uno nuovo, più lucido e più comodo: il patto di Dorian Gray aggiornato all’ingegneria genetica… Non più morti viventi deambulanti nei nostri mall, ma il simulacro di una gioventù offerta, per pertenogenesi, dal vecchio corpo da rottamare: chissà se a rispondere al telefono del call centre di The Substance c’è il dottor Herbert West di Re-Animator, con quella sostanza verde da iniettare nel vecchio corpo per metterlo in sospensione e dare vita a quello nuovo, splendido e splendente, rianimare la giovinezza…

 

 
Ad ogni modo, la Fargeat è una che va di Revenge movies, quindi da questo suo secondo film non c’è da attendersi che un corpo a corpo: anche se in questo caso la lotta al femminile è tra se e se stessa… Alla penetrazione del corpo nello slasher maschile si sostituisce qui la partenogenesi, il segno femminile della generazione, del parto simbolico: 50/50 come il collettivo per l’eguaglianza di genere nel cinema di cui la regista parigina fa parte… The Substance, dunque: Elizabeth Sparkle, che è Demi Moore, non è più giovane e la sua stella sulla walk of fame è ormai vecchia, come del resto l’Oscar che ha vinto e che nessuno ricorda più. La diva oggi suda la sua fama residua ogni mattina, in tv, nello show di dance fitness che le sta portando via quel laido produttore che di nome fa ovviamente Harvey e che ha i modi grotteschi di un Dennis Quaid da antologia. Al posto di Elizabeth ora c’è Sue, che è Margaret Qualley, levigata e rilucente come uscita dal photoshop: giovane, piena di energia, una bellezza letale che assorbe like e audience.Corpo a corpo, per l’appunto: perché, nessuno lo sa, ma Sue è il prodotto di Elizabeth, la sua versione migliorata e soprattutto giovane di una giovinezza che corrisponde perfettamente ai canoni attuali.

 

 
Sue è il prodotto della scelta di Elizabeth di provare il misterioso programma di ringiovanimento chiamato “The Substance”: una sostanza verde da iniettare in vena e dal suo corpo, caduto in sospensione, viene fuori per partenogenesi Sue, che per una settimana vivrà al posto suo e si farà strada con la sua folgorante bellezza. Il problema è che le due versioni devono prendersi cura l’una dell’altra, nutrendosi e riattivandosi a vicenda alla scadenza dei termini, altrimenti sono guai seri. E poiché la vitalità e il bisogno di avere successo di Sue sono uguali e contrari a quelli di Elizabeth, è ovvio che tra le due versioni scoppi una guerra di resistenza. Entrambe dimenticano la regola base del progetto (“Remember, you are one”) e Coralie Fargeat lascia implodere la questione con sublime ironia teratologica, che ricorda gli eccessi splatter del primo Peter Jackson o, ancor di più, le riflessioni di Brian Yuzna: questione di forme proliferanti, di dinamiche quasi astratte del corpo sospeso tra dentro e fuori, come a sfogliare il caro vecchio “libro di sangue” barkeriano…Dal normale al subnormale come dal bellissimo all’orribile, la concettualità messa in campo dalla Fargeat copre lo spettro ampio di una mutazione in atto nella nostra percezione della realtà. E se la prima parte è tutto un pompare il concept visivo di ogni singola inquadratura non è, come potrebbe sembrare, per aderire a un’estetica dell’immagine anabolizzata coerentemente con l’estetica del corpo, ma per segnare il passo di una realtà che ha perso il contatto con la normalità. Sicché nella seconda parte si entra nel regno di una fisicità orrorifica performativa, che risponde al richiamo di quel body horror anni ’80 e ’90 che già aveva capito e detto tutto di ciò che stava accadendo…