Grazie a Dio di François Ozon e il complesso ordine dei fatti

(ri)Ordinare i fatti non è solamente una prerogativa dell’ultimo film di François Ozon quanto una tendenza che il cinema civile più contemporaneo sembra avere assunto come bussola con cui provare a orientarsi nel labirintico, frenetico e impalpabile presente storico. Si pensi a lavori quali Sully (2016), The Post (2017) oppure Il caso Spotlight (2015), che di questo film diventa ovviamente il parametro di confronto più immediato. Il cinema sembra sentire l’esigenza di alzare la voce abbassando i toni. L’interpretazione della Storia viene momentaneamente lasciata da parte per fare spazio alla sua elaborazione. L’imprevedibile e camaleontico autore francese, che ama mutare la forma dei suoi film per mantenere salda la propria componente autoriale, si cimenta in una parentesi cronachistica finalizzata a restituire sul grande schermo la ricostruzione di uno degli scandali ecclesiali di più recente portata. Siamo a Lione quando, circa tre anni fa, padre Bernard Preynat venne accusato di numerose molestie sessuali che lo videro protagonista nelle decadi addietro. Il processo non è ancora definitivamente chiuso anche se il film esce in sala aggiornato agli eventi del maggio scorso, comunicando la notizia delle dimissioni dallo stato clericale di Preynat.  Una scelta bizzarra, si potrebbe pensare. Eppure questo dato è il simbolo più evidente della cifra di Ozon, per nulla (o quasi) interessato al verdetto, quanto al percorso intrapreso per arrivarvi.

Grazie a Dio sono tre parole magiche, come il numero dei protagonisti che abitano i tre atti del film, dietro le quali ci si può troppo facilmente difendere e arroccare. Tuttavia basterebbe “semplicemente” intrecciare i dati, porre le domande giuste e scavare adeguatamente dietro la patina delle apparenze per comprendere come, quelle tre parole là, spesso dovrebbero essere mutate nell’espressione a causa di Dio. Ozon, con un film pulito, misurato, a volte probabilmente anche troppo trattenuto, solido e perfettamente strutturato, riesce a ricreare quella complessissima semplicità dimostrando come, al cinema quanto nella cronaca, riordinare i fatti non sia affatto un’operazione elementare come sembrerebbe, ma un’intenzione che richiede un’ampia dose di coraggio. Lo stesso coraggio che i personaggi devono dimostrare di possedere per rompere il silenzio e insistere nella causa, lo stesso coraggio che il cinema deve sposare per remare contro tendenza rispetto ai canoni odierni e proporre uno sguardo di altri tempi per raccontare l’oggi.