Ritratto della giovane in fiamme: storia intima e autoritratto di una pittrice

Bretagna 1770. In una scuola per pittrici, l’insegnante Marianne si mette in posa per farsi ritrarre dalle sue allieve, suggerendo loro le regole per la buona esecuzione di un ritratto. Un dipinto, peró, la porta a divagare in un passato che sembra ancora così presente ai suoi occhi. Sullo sfondo di una spiaggia del nord, in campo lungo, la sagoma di una donna con la lunga gonna in fiamme. Immagine destinata a restare negli occhi di uno spettatore, portato per mano a scoprirne l’origine. Il quarto film da regista di Celine Sciamma Portrait de la jeune fille en feu é una storia intima che si fa ritratto corale dell’essere femminile. Diciannove anni prima della Rivoluzione francese, ci si sofferma con sorpresa passione nel mondo delle emozioni di due giovani donne, la pittrice Marianne, cui viene commissionato il ritratto di Héloïse, promessa in sposa ad un nobile milanese, contraria alle nozze e a farsi ritrarre.
Compito difficile per Marianne, che deve osservare il suo soggetto di nascosto, isolandone i dettagli delle mani, del sorriso, degli occhi, per ricomporli segretamente sulla tela di notte, alla luce delle candele. Le giornate non sono meno intense. Sull’isola bretone battuta dal vento e da onde violente e magnifiche, le due donne imparano a osservarsi, finendo per scoprire in ognuna qualcosa di se stessa, sfuggendosi l’un l’altra, e cercandosi al tempo stesso, in una continua altalena tra il desiderio di sapere e quello di celarsi, tra il darsi e il voler avere.

Sciamma, abituata fino ad ora a confrontarsi con storie del presente, affronta questa vicenda a partire dal punto di vista. Quale puó essere la prospettiva corretta per rappresentare qualcosa che sta affiorando e si enuncia a se stessa? Le regole della pittura non sono sufficienti e infatti Héloïse non riconosce il suo volto nel primo ritratto che le viene mostrato. ‘È così che mi vedi?’ chiede a Marianne dopo che ormai la sua identitá é stata svelata. Sará il secondo tentativo a soddisfare tutte le esigenze, perchè in questo la pittrice riesce ad inserire la vita e, soprattutto, se stessa. Perchè vedere é un gioco di complicitá e di sovrapposizione degli sguardi. Guardare è come essere guardati. Anzi, richiede la reciprocità del gesto per potersi fare immagine. Per questo Orfeo si volta a guardare l’amata, per portare con sè non Euridice, ma la sua immagine e quindi quell’insieme di veritá ed emozione che ne terranno vivo il ricordo. Supporre, poi, che i due, nel momento della loro separazione, si siano scambiati un saluto (come nel dipinto di Marianne mostrato alla fine) equivale a mettere in pittura ció che Sciamma sperimenta sul set: raffigurare le sue protagoniste nella loro concretezza, facendole affiorare da un décor bidimensionale e in perfetto stile tardo settecentesco, mettendo in secondo piano regole, convenzioni, e obblighi sociali. Portrait de la jeune fille en feu è anche il ritratto in divenire di un innamoramento, colto in tutti i suoi istanti, con le luci e le ombre, le esitazioni e le euforie. Il ritmo che cambia, le sensazioni conflittuali espresse nella lieve flagranza del loro manifestarsi, come il ‘racconto’ della tempesta nelle Quattro stagioni di Vivaldi, abbozzato al piano da Marianne e poi dirompente a teatro nella scena che conclude il film.