Come eravamo: Past Lives di Celine Song

“It’s easier to leave than to be left behind”, cantavano i R.E.M. qualche anno fa: la questione del tempo è che cristallizza le emozioni di chi resta e lascia svaporare quelle di chi parte. Più facile andare che essere lasciati indietro: lo sa bene Hae Sung che è rimasto in Corea quando Nora è partita per l’America con i suoi genitori, artisti che un giorno hanno deciso di trasferirsi a New York. Se amore ci può essere nell’adolescenza, il loro era amore vero, ma quel che ne è restato vent’anni dopo non è facile capire cosa sia: la timeline dei sentimenti funziona per slittamenti e sovrimpressioni, quasi mai per ellissi… Celine Song, autrice teatrale e cinematografica di famiglia sudcoreana, ne ha fatto il soggetto di Past Lives, la sua opera prima vista in Concorso alla Berlinale 73. Melodramma in transito culturale ed esistenziale, faccia a faccia tra modelli americani e asiatici che si inserisce agevolmente nella linea di riflessione del cinema asiamericano di ascendenza coreana (basti pensare a Minari di Lee Isaac Chung), ma che si colloca prevalentemente sulla linea dei sentimenti, sulla fuga identitaria del tempo che passa. L’imprinting viene dall’immagine d’apertura del film, che riproduce perfettamente la situazione in cui un giorno Celine Song si è trovata davvero: seduta in un bar di New York, tra l’uomo che ha sposato in America e il suo primo amore arrivato dalla Corea per farle visita dopo vent’anni.

 

 

L’intero film racconta il lasso di tempo nella vita della protagonista, Nora, la timeline esistenziale che nell’infanzia la vedeva legata ad Hae Sung e ora la trova donna fatta, sposata ad Arthur. Past Lives costruisce un dramma dei sentimenti perduti, ma anche il diario di una quotidianità che d’improvviso si scopre per lei in carenza di passato. In realtà ciò che Celine Song sviluppa in questa sua storia latamente autobiografica è una riflessione su come agisce il tempo sulla costruzione della propria storia, sulla narrazione di sé nella distanza dal luogo delle proprie origini. E pone quella questione proprio in un’epoca in cui la dispersione identitaria e culturale sta diventando quasi una questione politica. Past Lives ha un sistema di riferimento stilistico molto preciso, lavora proprio nella linea di riflessione che il cinema asiamericano ha introdotto a partire dagli anni ’90 per elaborare l’innesto culturale ed esistenziale doloroso del popolo asiatico sul territorio statunitense. Anche stilisticamente, il confronto tra la parte coreana e quella americana del film ha un assetto molto interessante proprio perché fa dialogare il cinema sudcoreano degli anni ’90 (nel quale il tema della separazione, della perdita delle persone care sulla linea del 38° parallelo, è stato fondamentale) con gli stilemi figurativi del cinema americano indipendente contemporaneo. Ma quello che emerge soprattutto è un grande melodramma con momenti di una intensità straziante, in cui è proprio l’impossibile sintesi tra il dolore di chi lascia e quello di chi viene lasciato a diventare lo spazio di una riflessione molto netta sul valore culturale della perdita dei sentimenti in relazione alla perdita di sé. Il confronto con la figura di Arthur, il marito americano di origini ebree di Nora, per nella sua schematicità è, del resto, importantissimo per definire il confine di quella deriva identitaria nel quale la protagonista si trova a vivere.