Cosa sarà di Francesco Bruni: il fragile equilibrio dell’esistenza

Un bambino gioca con le macchinine nel giardino di casa. Dall’altro lato dell’inferriata si avvicina un coetaneo che gli chiede in prestito le due macchinine per poi allontanarsi in cerca delle sue. Quel bambino al palo è il quarantaseienne Bruno Salvati (Kim Rossi Stuart) che nella scena successiva, sulle note di Perfect Day di Lou Reed, si sottopone alla rasatura dei capelli prima di iniziare la chemioterapia. Nel presente Bruno è un regista di commedie che, per sua volontà, non devono far ridere né tantomeno essere interpretate da attori famosi, ed è in crisi. Sta aspettando invano di girare il nuovo film, si è da poco separato dalla moglie Anna (Lorenza Indovina) «che forse ha un’altra», con la quale continua ad avere un ottimo rapporto, è padre affettuoso, ma poco incisivo, di Adele (Fotinì Peluso) e Tito (Tancredi Galli) e, un giorno, scopre di avere una forma di leucemia per cui necessita del trapianto di midollo osseo. Forse, come dice la canzone di Lou Reed, anche lui pensava di “essere qualcun altro, qualcuno migliore” («I thought I was / Someone else, someone good») e la malattia diventa allora l’occasione per guardarsi dentro e fare i conti con la sua storia.

 

 

Passato e presente si alternano senza soluzione di continuità: fantasmi di ieri e di oggi accorrono al capezzale di Bruno per fargli rivivere momenti cruciali, l’amore della madre che poteva essere causa di morte, il rapporto complicato con il padre (nel presente, Giuseppe Pambieri), che lo ha sempre ritenuto «fragile e delicato», con i figli (l’ansioso Tito, «fragile e delicato» come lui, la forte Adele stufa di non poter esprimere le sue emozioni), la comprensione costante della moglie, i contrasti con il suo produttore (Ninì Bruschetta), la durezza solo apparente della dottoressa Bonetti (Raffaella Lebboroni) che lo cura… Occasioni colte o mancate, come succede nella vita di ogni persona, che portano a contrasti, litigi, ma anche agnizioni, come nel caso di Fiorella (Barbara Ronchi), figura risolutiva.

 

 

«L’umorismo rende accettabile il dramma e il dramma nobilita l’umorismo», così il regista Francesco Bruni ha dichiarato in un’intervista per la presentazione di Cosa sarà (in origine doveva intitolarsi Andrà tutto bene, diventato slogan abusato durante la pandemia) che, dopo essere stato presentato alla Festa del cinema di Roma, arriva in sala con un cast di attori particolarmente azzeccato e la dedica all’amico Mattia Torre, scomparso lo scorso anno. Una cifra stilistica che ha caratterizzato anche i suoi precedenti lungometraggi (Scialla, Tutto quello che vuoi) e di cui parla a ragion veduta visto che è partito dalla sua esperienza personale: nel 2017 gli è stata diagnosticata una leucemia che lo ha costretto a sottoporsi al trapianto di midollo donato dal fratello (non a caso il protagonista si chiama Bruno, mentre il cognome, con slittamento di accento, diventa un’esortazione). E infatti si ride in questa commedia che ha il pregio di affrontare la malattia in maniera non retorica, riuscendo a stare in equilibrio tra il dramma e la commedia, proprio come l’immagine in cui Bruno associando un ricordo d’infanzia sogna di camminare su una ringhiera e ci invita a “tornare nel mondo” sulle note di Lighthouse di Patrick Watson («When to find you in the backyard / Hiding behind our busy lives / Dreaming a lighthouse in the woods/ To help us to get back into the wild»). E sono le parole di un’altra canzone, Altrove di Morgan, ad accompagnarci sul finale, quando il cerchio si chiude: «Ho deciso / Di perdermi nel mondo / Anche se sprofondo / Lascio che le cose / Mi portino altrove / Non importa dove». Vale per Bruno Salvati, ma vale per ognuno di noi.