Di nuovo Robin e Marian a Newcastle in Il ritratto del Duca, di Roger Michell

Roger Michell sembrava inglese, ma in realtà era sudafricano, la declinazione al passato serve a indicare che il regista ci ha lasciato nel settembre scorso e questo Il ritratto del Duca resta la sua ultima prova di regia. Il suo successo maggiore finora è stato Notting Hill, piacevole commedia in stile perfettamente inglese dal quale in fondo questo suo ultimo film, con i dovuti distinguo, non si discosta troppo. La storia è vera e comincia nel 1961. Racconta di Kempton Bunton (Jim Broadbent) che ha la natura e l’animo del paladino delle battaglie di civiltà in favore dei più poveri. Il suo principale rovello è quello di non dovere pagare il canone della BBC, o almeno non pagarlo se si è in condizioni economiche disagiate o anziani, e avere diritto alla diffusione gratuita dei programmi televisivi di Stato. Trova solidale in questa sua battaglia solitaria, osteggiata dalla moglie Dorothy (Helen Mirren), il figlio Jackie, l’altro è un poco di buono sempre a rischio di essere catturato dalla polizia. La terza figlia della coppia è morta giovanissima a causa di un incidente con la bicicletta che il padre le aveva regalato. Questo dolore sopito e in modo differente condiviso dalla moglie, lo accompagna costantemente e sembra quasi che tutti suoi comportamenti siano diretti ad espiare il suo senso di colpa. Il suo gesto eclatante, che in effetti non è il suo, lo porterà davanti alla Corte di giustizia.

 

 

Se i temi di Notting Hill erano l’amore nascente tra i due giovani protagonisti occasionalmente conosciutisi, qui il dato costante, come spesso accade nei film in cui coppie anziane diventano protagoniste, è il rapporto di coppia consolidato che si fonde con una profonda e dissimulata solidarietà che ha la libertà di potersi manifestare anche in modo diverso dal consueto e perfino opposto, apparendo come una opposizione verso l’altro, ma che in fondo resta, invece, solidarietà e condivisione di valori con una sedimentata stima dell’uno verso l’altro. È in questa condizione che il film, oltre che mettere in scena il racconto, gustoso e piacevole, in perfetta linea con un elegante e innato humor (tipicamente) inglese, focalizza la propria attenzione su rapporto tra Kempton e Dorothy. Una dimessa Mirren, senza trucco e quindi senza inganno, sa calarsi nei panni della moglie attempata che deve badare alle marachelle di quello che è, in fondo, il suo figlio maggiore, il marito, sempre pronto a combinare guai sempre più incontrollabili, benché posti in essere senza alcuno scopo di lucro. In altre parole un Robin e Marian in odore di Ken Loach. Ma Il ritratto del Duca, questo si vuole dire, resta comunque più un film sull’amore consolidato di una coppia, che viene messo alla prova dal gesto eclatante del furto di una preziosa opera d’arte, ma che saprà resistere con tenacia anche a questa dura prova.

 

 

Tutto si svolge nei quartieri popolari di un insignificante buco del mondo vicino Newcastle che si vede solo, come dice Kempton, quando al cane gli alzi la coda, i cui contorni sono segnati dal fumo delle solitarie ciminiere carbonifere che svettano sullo sfondo segnalando l’industrializzazione e quindi il cambio di passo che in quegli anni stava avvenendo. Ma tutto resta ancora molto lontano da quella swinging London così rivoluzionaria nei modi e nei costumi. I luoghi periferici e malinconici di Il ritratto del Duca sembrano più che altro assimilabili agli ambienti operai della Belfast di Branagh. Dall’altra parte una burocrazia inflessibile dell’Inghilterra anni ’60, con qualche accenno di modernità. Ne sia prova il divertente svolgimento del processo, con una ennesima, ma non disturbante, teatralità insistita. Primeggia il protagonismo di Bunton/Broadbent che emerge in tutto il suo elegante fraseggio come un novello Eduardo Scarpetta, tanto da fare innamorare non solo il pubblico, ma perfino il Cancelliere che legge le accuse contro di lui. Saranno i principi che ispirano Bunton ad essere i veri vincitori del processo. Il suo Io sono voi e voi siete me conquista la giuria e in fondo non ha torto l’avvocato che lo difende che dice che Bunton è come un buon vicino di casa al quale si perdona di avere restituito in ritardo il tosaerba prestato.  L’Inghilterra trasgressiva e della contestazione è alle porte, lo percepiamo dal comportamento della agiata datrice di lavoro di Dorothy che fa il tifo per l’originalità che Bunton rappresenta, perché in lui vede quella opposizione ai costumi che stanno diventando insopportabili. Seguirà il processo inneggiando, come quasi in un concerto dei Beatles, in favore del suo idolo.