Eccessi di famiglia: Fast and Furious 9, di Justin Lin

La campagna promozionale della Universal ha insistito parecchio su quanto Fast and Furious 9 dovesse agire da primattore nel riportare il pubblico in sala, forte di quella esclusiva per il grande schermo negata con miopia ai vari Godzilla vs Kong, Crudelia, Black Widow e Suicide Squad, lanciati da Warner e Disney anche in streaming. In questo modo però si è perso un altro interessante spunto, ovvero che la pellicola centra il ventennale delle corse di Toretto e soci sugli schermi, essendo trascorsi esattamente due decenni dall’uscita del capostipite di Rob Cohen. Un lungo periodo in cui la saga si è trasformata, generando non soltanto un universo con tanto di spin-off, corti e serie animate, ma anche cambiando letteralmente pelle e transitando dal veloce ripoff di Point Break su ruote a un più complesso “action-heist-spy movie” all’insegna dell’eccesso. Che, ed è l’aspetto forse più ignorato nello snobismo generale con cui è di volta accompagnata, fa della Fast saga quanto di più vicino gli Stati Uniti abbiano mai prodotto al cinema d’azione di Bollywood dove l’uso non realistico della CGI e la tendenza all’iperbole si fanno cifra stilistica di uno spettacolare balletto delle forme letteralmente senza freni. Merito, va riconosciuto, di una peculiare sfacciataggine nel sottoporre Toretto e soci a missioni sempre più incredibili, ma anche di una specifica inventiva nell’uso del set e dei veicoli, sottoposti perciò a stunt acrobatici in cui i muscoli ipertrofici degli attori trovano un naturale proseguimento nei motori e nei metalli delle vetture lanciate come fionde, usate come ostacoli e sottoposte a una “elasticità” gravitazionale che sfida ogni legge fisica.

 

 

Fast & Furious, insomma, non fa la realtà, la crea e con fierezza, mentre cerca di ricondurre tutto questo a legami personali degni di una soap-opera, con personaggi che muoiono, risorgono, fanno e disfano alleanze e allargano la maglia delle relazioni attraverso l’introduzione tutto sommato abbastanza naturale di nuovi parenti. Nel caso specifico la new entry è Jakob, fratello sinora mai nominato di Dom, che trova in un granitico John Cena il potenziale succedaneo di quel Dwayne Johnson che nel frattempo è sceso dalla pista per contrasti con il patron Vin Diesel. Intanto ritornano Justin Lin in cabina di rega e nel cast anche la Mia di Jordana Brewster, l’Han di Sung Kang, mentre si rivede in un cameo la Giselle di Gal Gadot. L’atmosfera, insomma, è quella di un primo recap in occasione del finale annunciato con i capitoli 10 e 11 e che conferma come, a conti fatti, il film del ventennale sia effettivamente quello in cui la saga guarda indietro. Anche a un remoto e finora inesplorato passato in cui il giovane Toretto ha perso il padre, gettando le basi per la sua futura carriera di criminale su gomme e poi eroe per il mondo minacciato dal consueto device da supercattivo à la James Bond. Quello che sorprende è che, a fronte di due capitoli che avevano forse portato la saga al loro picco – il celebratissimo numero 7 di James Wan e l’ottavo di F. Gary Gray, il migliore per coreografie e situazioni particolarmente inventive – stavolta Fast & Furious inizi a mostrare i segni di un meccanismo consolidato ma ormai di maniera. Complice una storia che governa le interazioni dell’amplissimo cast con una scioltezza finanche eccessiva, il film non stupisce come i predecessori e la sua inventiva si limita alle due trovate già evidenziate nei trailer (l’uso di un magnete per scagliare i veicoli e il lancio di due personaggi nello spazio per abbattere un satellite artificiale), mentre le coreografie toccano pericolosamente il già visto anche altrove (il ribaltamento dell’autoarticolato riecheggia gli inseguimenti del Batman di Christopher Nolan).

 

 

Appare in questo senso più curata tutta la parte affettiva, con un uso intelligente dei flashback che permettono un’esplorazione della psicologia “familista” di Dom Toretto finora rimasta abbastanza in superficie. Complice la bella prova di Vinnie Bennet nella parte del giovane Dom, il protagonista della saga assume una maggiore tridimensionalità, che unita allo scontro fratricida e al bell’omaggio finale al mai dimenticato Paul Walker, rendono questo squilibrato capitolo quello più centrato dal versante affettivo nei confronti di questi personaggi over-the-top, ma che il pubblico continua a seguire con passione per la nonchalance con cui affrontano droni e demolizioni, salvo ricondurre poi tutto alla preghiera di fronte al desco famigliare. Anche questo un segnale, in fondo, di come Fast & Furious crei la sua realtà e ci si trovi benissimo.