Fra eros e thanatos l’Ėjzenštejn messicano di Greenaway su MioCinema

CGQdVUqW8AA786TSergej Ėjzenštejn è stato il primo eroe cinematografico di Peter Greenaway. La visione di Sciopero quando era ancora uno studente, e di tutti i film di Ėjzenštejn divorati voracemente subito dopo, rivelarono al regista di I misteri del giardino di Compton House le grandi potenzialità del cinema. Mezzo secolo- e molti corteggiamenti all’estetica eisensteniana dopo -Greenaway decide di rendere esplicito omaggio all’autore della Corazzata Potëmkin. E per farlo sceglie un episodio minore, una nota a pie’ di pagina nella biografia di Ėjzenštejn da lui resa cruciale. Il russo nel 1931, tra una lunga infruttuosa trasferta hollywoodiana e il rientro in patria per esplicito richiamo di Stalin, passò dieci giorni in Messico, nella cittadina di Guanajuato, «un luogo estremamente fotogenico» lo definirà Greenaway all’indomani della propria visita, capitolo di un pellegrinaggio che nel corso del tempo ha toccato tutte le tappe della vita e della carriera di Ėjzenštejn.

 

 

Ma che cosa significa fotogenico per Peter Greenaway? Guanajuato è una piccola città mineraria del XVIII secolo, il cui sottosuolo ospita un complesso intrico di budelli e gallerie, «praticamente un mini-inferno dantesco». Poco interessato al peccato e all’espiazione, Greenaway si concentra però soprattutto su quello che sta sopra all’inferno: il paradiso. La stanza da letto dell’albergo Belle Époque dove, fin dall’incipit del film – l’ esperienza della doccia vissuta per la prima volta da parte di chi conosceva solo vasche da bagno e bagni turchi – il regista russo in trasferta dà il via libera alla scoperta di sé, del proprio corpo e del desiderio che – in quel luogo così lontano dalla madre patria – lo pervade. Nel 2007, in Nightwatch, Greenaway si era cimentato con le circostanze che avevano determinato la creazione del capolavoro di Rembrandt, Ronda di notte. Scoprendo dietro le pennellate dell’olandese indizi di una cospirazione. Con questo suo ultimo film propone una tesi altrettanto personale, ma suffragata da un minuzioso lavoro di ricerca (la realtà è dichiaratamente poco importante per Greenaway, ma non ne prescinde mai completamente): «Ėjzenštejn passò solo 10 giorni a Guanajuato, ma io credo che siano stati per lui uno spartiacque. I suoi primi film, Sciopero, La corazzata Potemkin e Ottobre! ereisenstein-in-guanajuatoano tutti centrati sul concetto di massa, movimento collettivo, influenzati dal materialismo dialettico, mentre i suoi successivi, Aleksandr Nevskij e Ivan il terribile sono invece opere che hanno al cuore l’individuo. Tra quelle due fasi c’era stato quel periodo lontano dalla Russia. Ogni volta che ci allontaniamo dal luogo dove siamo nati, dove abbiamo la nostra base e le nostre sicurezza, diventiamo persone diverse». È la lunga verbosa scena di deflorazione – in cui Palomino Cañedo, da guida alla scoperta della città assume il ruolo del traghettatore che «apre la porta a un lurido e umido uragano» -coincide allora con la trasformazione dell’eroe, se non con la sua liberazione: Ėjzenštejn a Guanajuato conosce dunque il paradiso, ma dovrà lasciarlo, tornare a casa,per ordine del Cremlino, e senza le molte ore di girato prodotte in quel viaggio.Que viva Mexico!, il film che avrebber dovuto vedere la luce al termine dell’esperienza, resterà per sempre un incompiuto. Una sfida aperta alla narrazione ufficiale sull’eroe nazionale russo quella di Greenaway che ha, com’era prevedibile, imbarazzato Mosca. Tanto più potente, nella portata provocatoria, se si considera l’intento di fare un film «più eisensteniano possibile». Nell’alternanza di colore e bianco e nero, di materiale originale e d’archivio, nell’uso dello split screen, nel montaggio aggressivo, Greenaway propone un costante confronto tra il proprio metodo e quello del suo eroe: le citazioni (Resnais, Renoir, Fellini) sono ai referenti del proprio cinema, così come l’abbraccio di eros e thanatos (cui neppure Ėjzenštejn doveva essere Eisenstein-in-messico-2estraneo, se aveva scelto il Messico come set). Viene da chiedersi che cosa avrebbe fatto il regista di Ottobre! con i mezzi a cui ha potuto fare ricorso Peter Greenaway per rendergli omaggio.